Questo a Cuba non succede

 

Il Fatto Quotidiano, 12.7.2012

Cose da pazzi. Metti una sera a cena sullo Jonio e le cose
più interessanti, mentre parli di progetti e movimenti civili, te le tira fuori
una ragazza cubana capitata a tavola quasi per caso. Con sei parole, sgranando
occhi grandissimi mentre discuti d’altro. Daynorys è arrivata in Calabria
qualche giorno fa dopo un paio di settimane passate a Milano da un amico. E’
venuta a trovare un’ amica cubana che in Italia si è trasferita per amore,
matrimonio con figlio. E’ entusiasta del mare calabrese, delle infinite spiagge
libere e dell’acqua che cambia colore a ogni ora come nel Racconto di un naufrago. Ama meno la sabbia, che è il vero oro di
Cuba, quella grana sottilissima e morbida qua te la sogni. Da qualche anno Daynorys
Ramos abita a Londra, lavora nel ristorante del marito francese. L’italiano lo
parla bene, l’ha studiato a Londra, ed è perfettamente in grado di inserirsi
nelle conversazioni. Con modestia, perché sa le buone maniere. Ma anche con
efficacia. Tra i commensali una certezza sulle due ragazze cubane c’è: non si
tratta di attiviste o simpatizzanti del regime. Non sono castriste. Meglio, non
sono “fideliste”, per usare il loro linguaggio.
Come non capirle, d’altronde? Sono la terza generazione. Te lo spiegano bene. I
nonni adoravano Fidel, aveva dato ai connazionali la dignità, tirandoli fuori
da un destino di casinò e bordello della potenza dirimpettaia. I genitori erano
andati a ruota, educati al mito della rivoluzione, ma con minor trasporto,
anche se il padre di Daynorys, che distribuisce il pesce per i mercati
dell’Avana, è un comunista che ci crede, andò due volte in Angola a combattere
il colonialismo portoghese.
Loro, i giovani, vogliono la libertà dei coetanei occidentali. I cellulari a
lungo proibiti, internet, un po’ di consumi in più, una televisione che non ti
dica ogni santo giorno che il mondo è brutto e Cuba è bella, la possibilità di
uscire con i giovani occidentali senza che la polizia ti chieda cosa stai
facendo. Per questo la nostalgia di Cuba è nostalgia dei luoghi e degli
affetti, della gente, ma la libertà europea è impagabile e per chi ha
ventiquattro anni come Daynorys vale di più. “A Cuba ci torno se cambia”. Fin
qui è tutto logico, tutto perfettamente compatibile con quel che pensi da anni
di Cuba e di Fidel.
La svolta, che si fa storia di incontri, arriva a metà cena. Basta un accenno alla
vita londinese. “A Londra in questo momento puoi anche morire di fame e non c’è
nessuno che ti aiuti”, dice Daynorys. Già, pensa ognuno, la crisi che getta
nella disperazione le famiglie… “Ma questo a Cuba non succede”, ecco le sei
parole, “questo a Cuba non è possibile”, spiega alzando la voce la ragazza. Gli
occhi si sgranano sotto la montagna di capelli ricci neri, perfino il viso
cioccolato sembra accendersi. “A Londra se non puoi pagare ti tagliano l’acqua
dopo due mesi anche se hai dei bambini, non gliene importa nulla. Puoi pure
morire. Ma a Cuba nessuno muore di fame”. Sembra propaganda, ma detto da lei è
impossibile. Tacciono tutti, la parola è solo sua. “Noi abbiamo la libreta. Ogni famiglia tutti i mesi va
in una specie di supermercato, e riceve tutte le cose di cui ha bisogno per
vivere. Il pane, lo zucchero, l’olio, il latte, le uova, il pollo, i fagioli,
il riso, il pesce, la farina, i crackers, qualche volta le patate, il caffè. Paghi
quasi nulla. Ogni famiglia ha la libreta. Senza distinzioni, l’unica differenza
la fa il numero delle persone. Se hai più figli prendi di più. Poi mettono un
segno per dire che tu quel mese hai preso quello che ti spettava. E il mese dopo
lo riavrai con sicurezza. Certo, non è quello che ti puoi permettere qui, ma è
sufficiente. E’ il bàsico. E’
importante vivere senza disperazione”. Yani, l’amica, conferma. Una accanto
all’altra sono le classiche belle ragazze cubane che ogni show televisivo
prenderebbe di corsa (Daynorys ha girato anche qualche spot da ballerina), ma
ora non parlano il linguaggio delle vetrine e delle luci occidentali. E’ come
se stesse venendo fuori da loro qualcosa d’altro e di più profondo.
 

“Noi andiamo tutti a scuola, nessun bambino deve lasciare per lavorare. Io ho preso il diploma di disegnatore informatico e non ho mai pagato nulla. Pure l’università è gratis, anche se alla fine devi restituire i libri per chi viene dopo di te. E la medicina è ben organizzata. E’ vero che c’è il mercato nero, che certi consumi non te li puoi permettere, che i trasporti sono un disastro, che non possiamo comunicare via skype. O che magari ti tolgono di colpo l’energia elettrica per ore e ore per risparmiare. Però il nostro è un popolo che non ha paura della fame. Perché il necessario ti viene dato dallo stato. E perché la nostra gente è speciale, noi siamo più uniti, ci aiutiamo, un piatto di cibo lo trovi sempre. Se hai bisogno il tuo vicino ti darà il pane, senza interesse”.
Resti di stucco, vai per le Indie e trovi le Americhe. Vuoi sapere che cosa accade in Calabria e scopri Cuba. Capisci quello che non ti dicono i discorsi dei dissidenti, che   hai anche sostenuto con la tua firma. Ma anche quello che non sanno dirti i fan dell’amicizia Italia-Cuba, con quel frequente retrogusto di nostalgie barricadere. Da una ragazza che ha cercato l’occidente e ha solo studiato a scuola la mitica rivoluzione, riscopri che essa ebbe un senso. Le crisi che devastano, e le parole che sbottano dal cuore, servono anche a questo.

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