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Adriana, una gerbera gialla contro la ‘ndrangheta
Il Fatto Quotidiano, 26.7.2012
Per simbolo si è data una gerbera gialla. “Stelo robusto,
coloratissima, da gente in trincea”. Adriana Musella non è proprio un milite
ignoto per i movimenti antimafia. Se la racconti è perché d’un tratto ti dice
cose della sua vita che fanno sobbalzare. La sua storia pubblica incomincia il
3 maggio del 1982. Trent’anni fa, anche lei, ma a Reggio Calabria. Quando di
primo mattino saltò per aria l’auto di suo padre, nemmeno il tempo di metterla
in moto. Faceva l’imprenditore, Gennaro Musella. Si occupava di cave e di
lavori pubblici, e i suoi operai ancora oggi lo raccontano come un benefattore
capace di mettere in mano, fuori busta, i soldi “per i bambini”. Pare anche che
sapesse fare molto bene il suo mestiere. Conti in ordine, azienda efficiente (la
Sider) e mente visionaria. Successe un giorno (questo non sapevo) che fu aperta
una gara per realizzare il porto di Bagnara Calabra e che lui si innamorò del
suo progetto. Cocciutamente. Ma la gara venne vinta da un’altra impresa. Una proposta
imbattibile, un massimo ribasso da mille e una notte. Musella andò al genio
civile con le tabelle in mano: prezzi di mercato dei mezzi e delle forniture
necessarie, anche all’ingrosso, anche scontate; salari minimi delle mansioni più
basse. Come potevano, i vincitori, garantire quelle cifre? C’era aria di
imbroglio. Il funzionario del genio civile dovette abbozzare. Anche se la gara
l’aveva vinta un’ impresa di Carmelo Costanzo, uno dei quattro cavalieri
dell’apocalisse mafiosa di Catania urlati da Giuseppe Fava. Si rifece la gara.
Musella si preparò meticolosamente. Ma lo sgarro di mettersi di traverso al
gruppo Costanzo non avrebbe dovuto farlo. I cavalieri del lavoro catanesi,
infatti, stavano sbarcando in Calabria, decisi a sfruttare le opportunità
aperte oltre lo Stretto dai buoni uffici di Nitto Santapaola, che in terra
reggina aveva stretto, in tema di stupefacenti, una solida alleanza con Paolo
De Stefano, boss calabrese di prima grandezza.
La gara la vinse stavolta un altro dei quattro cavalieri, Gaetano Graci, che di
lì a poco fece un consorzio con le imprese concorrenti battute. Venivano da
tutta Italia ma le buste erano state spedite insieme da Reggio, nello stesso
giorno e in ordine progressivo. Nel frattempo c’era stata l’autobomba. Le
indagini non portarono da nessuna parte. E i cavalieri, dal canto loro, erano
intoccabili. Il procuratore di Reggio, Gaeta, disse ad Adriana che gli chiedeva
giustizia “Signora, se ne stia a casa, lei ha due figli”. Poco tempo fa la
procura ha sostenuto che dietro la bomba c’erano stati gli uomini di Santapaola.
“Già, è stato il primo delitto di mafia realizzato in Calabria su mandato di
Cosa nostra. Ma il gip, l’attuale procuratore di Palmi, non ha accolto la
richiesta di incriminazione. Tanto sono tutti morti, mi si dice. Ti rendi
conto? Ho dedicato tutta la vita a chiedere giustizia e a coltivare il ricordo
di mio padre. E non è stato facile riscattare la mortificazione della ferita,
lottare in una terra ancora piena di vermi. Mi sono dovuta battere per ventisei
anni perché lo riconoscessero vittima di mafia. Ho avuto vicino tante persone,
soprattutto Antonino Caponnetto, uomo meraviglioso, eccolo in queste foto”.
Compare in più immagini il grande magistrato, come anche Pietro Grasso, e altri
familiari di vittime. “Mi aiutò lui a dar vita a ‘Riferimenti’, l’associazione
che oggi guido. La gerbera gialla nacque con lui, alla prima manifestazione a
Reggio, nel maggio del ’93. Non sono belle queste distese di gerbere alle
manifestazioni studentesche? Guarda qui”.
Adriana oggi è una signora matura. Lontane trent’anni le foto con il padre che le tiene un braccio sulla spalla come fosse una bambina. Qualcuno le rimprovera una personalità molto forte, l’impeto, la “tigna”, anche; perfino di avere tenuto la segreteria della Consulta antimafia della Regione Calabria. “E questo mi amareggia. Nessuno ha mai coperto personaggi compromessi. In compenso sono state organizzate tante cose utili in una regione dove, come sai benissimo, la società civile non ha la forza della Sicilia. Facciamo anche la settimana bianca dell’antimafia, con l’aiuto dell’Azienda del Turismo di Folgaria. Quattrocento ragazzi da tante regioni d’Italia, a prezzi stracciati. Poi”, e qui si ferma un attimo, “se qualcuno fosse capace di fare ricordare mio padre senza di me ne sarei solo felice”. Invece non accade. Invece i trent’anni che ricordano alcuni eroi dell’antimafia, per Musella sono stati celebrati a maggio con il ministro Cancellieri, la targa di Napolitano, ma addosso l’idea di una vicenda locale. Le guardi il viso abbronzato e avverti il senso di colpa, ma di che memoria parliamo… E pensi pure, visto che la fantasia non la controlla nessuno, a quei signori che anni fa cercarono di farci digerire i cavalieri del lavoro di Catania perché agli imprenditori “mica si possono fare le analisi del sangue”.Oggi molti dei loro amici dell’epoca, diversamente da Musella, sono ancora vivi, e con tutti gli onori. In politica e in Cassazione.
Nando
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