Rimuovere la verità. I beati costruttori di un mondo virtuale

 

Non è per tornare al 3, ma perché vi avevo promesso questo pezzo scritto per Libera Informazione; giusto per spiegarvi, anche, il senso delle mie pillole di "giornalismo di inchiesta", che sono bufale, ovviamente (a partire da quella sotto, su Berlinguer…).

3 settembre 1982. Trent’anni. Purtroppo i ricordi, anche i
più duri, hanno un destino carsico. Ci vogliono gli anniversari tondi, adornati
di francobolli e discorsi commemorativi, per restituire ai fatti una loro
drammatica plasticità, un loro senso.
Per qualche giorno. Ma la vita che scorre, e che dovrebbe misurarsi con quel
che è accaduto, ha bisogno dell’esercizio quotidiano della memoria come
premessa di intelligenza e umanità. Altrimenti tutto sfoca o cambia di segno. E
vincono amnesia e rimozione proprio tra i testimoni di quel che accadde. Per
questo mi capita spesso di trovare in un ventenne di Libera più rispetto e
memoria di mio padre di quanti ne trovi in chi ebbe modo di vivere l’incubo sanguinoso
degli anni di piombo, in chi poté assistere in diretta all’annuncio pubblico
del suo assassinio durato quattro mesi in una Palermo infuocata.
Parlo di quei giornalisti o intellettuali (o politici) che, anziché restare
sgomenti davanti  alla terribile
grandezza di quanto successe in quei mesi palermitani, e usare la propria
intelligenza per trarne insegnamenti radicali sulla politica, sulle burocrazie,
sui valori del Palazzo, sulla storia di una grande città mediterranea e
dell’Italia tutta, hanno pensato di dimostrare meglio il loro valore professionale
rifiutando il teatro della tragedia, per cercare in carte segrete da nessuno mai
trovate in trent’anni il senso degli avvenimenti. Purtroppo ciò che accadde fu
lampante, e andò in scena davanti a tutti proprio al centro del palcoscenico:  un delitto politico, l’assassinio di uno dei
migliori servitori dello Stato repubblicano, per difendere un sistema di
potere. Che cosa ci può essere di più sconvolgente di questo? Come lo si può
rimuovere? Eppure lo si è voluto fare, e si è tentata la costruzione di una
realtà altra rispetto a quella vera.
La società virtuale, finta, immaginata, non è dunque solo frutto delle
televisioni berlusconiane. Di più. Una volta rimosso il fatto, con la sua
memoria, è stato rimosso anche il rispetto per chi, nel fatto, versò il sangue.
Posso quindi approfittare della attenzione che si risveglia in queste occasioni
per chiedere che la memoria non venga più umiliata? Per chiedere che abbiano
forza di monumento gli insegnamenti di chi andò in prima fila a esporsi per tutti,
e che capì (fu costretto a capire) prima di noi alcune cose che ci ridiciamo
tra gli applausi dimenticandone il valore nella vita quotidiana? Due per tutte.
Assicuriamo ai cittadini i loro elementari diritti, impediamo che vengano
elargiti loro sotto forma di favori dalla mafia. E facciamo sì che le
istituzioni siano sempre più importanti di una tessera di partito. Sembra poco
ma è una rivoluzione. E le rivoluzioni si fanno se le sostiene un’anima vera.
Fatta di ideali, di sentimenti. E di memoria.

 

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