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Lampedusa. Tutti con Giusy, il sindaco senza la mazza da base-ball
Il Fatto Quotidiano, 9.9.2012
E ora, ora che il mare le ha
consegnato un altro cadavere da sistemare (“ho solo la fossa comune usata dopo
il naufragio di marzo”), i buoni cittadini si stringano intorno a lei. E le
chiedano scusa per il ritardo. Perché d’estate si dorme e l’informazione ha
l’occhio della talpa, ma intanto qualcuno sta da solo in mezzo alla tempesta per
avere detto parole di pura umanità. Il campo di battaglia è Lampedusa. Destino di
un’isola che la storia sta trasformando in segno di contraddizioni acide e
brutali. Destino di chi ha scelto di governarla senza brandire una mazza da
baseball.
Si chiama Giuseppina Maria Nicolini la nuova sindaco dell’isola degli sbarchi.
Le è bastato prendere il 26 per cento dei voti a maggio. “Un pezzo del Pd e
quel che c’è di società civile nell’isola”, uniti intorno a lei, già direttrice
per Legambiente della riserva naturale di Lampedusa. Una percentuale fragile per
chi si è trovato davanti agli effetti mica tanto collaterali dell’emergenza.
“Scempio del territorio, dell’ambiente e della legalità. Quando con la scorsa
amministrazione è arrivata in Comune la Guardia di Finanza, avevano già fatto
sparire le carte. Cantieri aperti senza progetti. Esercizi abusivi anche sulle
spiagge, con autorizzazioni illegittime. E oggi imprese, specie agrigentine,
che si vedono cambiare film sotto il naso. Consulenze che sfumano”. Il clima
perfetto per avvertimenti obliqui, arroganti, “a ottobre incominciano col
fuoco”. Per strada (“hai reso la mia
vita impossibile”), al bar, in municipio.
E in più la sommossa che le è montata contro dopo avere commesso il peccato
mortale di quest’epoca di furori tangheri. E’ stato il 20 agosto. Quel giorno Giuseppina, volto incavato e profilo da
Magna Grecia, ha rilasciato un’ intervista all’ Adnkronos per commentare la
storia di Samia Yusuf Omar, l’atleta somala che dopo aver partecipato alle
Olimpiadi di Pechino del 2008 ha trovato la morte a bordo di una carretta del
mare, partita dalla Libia e diretta in Italia. Una storia che ha commosso
chiunque non abbia il cuore di una scarpa.
Ha detto quel giorno Giuseppina: "I dati ufficiali sui naufragi parlano di circa 6mila persone
morte, ma sappiamo bene, come dimostra la storia di Samia, che le vittime dei
viaggi della speranza sono molte di più. [….]Dico allora che noi ci auguriamo
che gli sbarchi ci siano, che queste persone riescano ad approdare sulle nostre
coste, che arrivino vivi”. E ha aggiunto: “In questi anni ho parlato con mogli
e madri tunisine disperate che cercano i loro congiunti di cui non hanno più
notizie. Lampedusa non ha paura degli sbarchi […] Per noi non si tratta di
numeri, ma di persone. Li vediamo quando arrivano, entriamo in contatto con
loro, con le loro speranze e le loro paure”. Ecco. Non
ha minacciato di cannoneggiarli dal porto, non ha dichiarato, come il
predecessore, di tenere la mazza da baseball in ufficio. Ha respinto con orrore
l’idea del Mediterraneo cimitero sterminato. Ha detto quello che sente l’
Italia non ancora ingaglioffita.
Si può pensare una cosa o l’altra sulle politiche migratorie. Ma la reazione
che le è arrivata addosso ha il fiato del razzismo da bettola, altro che la
poesia da taverna di Lucio Dalla. E’ finita nella macelleria telematica.
Dileggiata per il suo fisico. Se una foto la ritrae elegantemente sportiva,
donna neocinquantenne dal tocco sbarazzino, ecco l’accusa: è “una foto ritoccata, dove la nostra indossa
accessori tipicamente radical, con cui potrà accompagnare le proprie chiccose
dichiarazioni di morte della genia italica ed in favore dell’indesiderato (da noi)
immigrato sfruttatore”. Così subito arriva in rete la foto più ingenerosa: “Hai
fatto bene a mettere in evidenza questa befana mentalmente deviata […] uno
scatto più realistico, che risalta certi lineamenti che a me paiono..
inquietanti, meglio accordantisi nella loro secca evidenza alla realtà di
simili dichiarazioni malsane; un viso di morte”. Pillole di opinione,
avvisaglia di un tam tam che in poco tempo ne fa “la befana di Lampedusa”, con
la stessa faccia degli ebrei (ed ecco, associata, la foto di Fiamma
Nirenstein), “feccia radical” o “buttanazza veterofemminista”. La frase del
peccato -“speriamo che gli sbarchi ci
siano”- diventa il tormentone che spiana la strada a minacce e ingiurie senza
fine, all’accusa di attentare all’equilibrio etnico e di partecipare al grande
gioco di togliere preziosi posti di lavoro agli italiani per darli allo
straniero. Alleata degli scafisti, ma anche dei futuri “parassiti e criminali”.
E degli stupratori, naturalmente. Lampedusa isola di accoglienza. Lampedusa
isola di frontiera. Geografica e culturale.
Giuseppina è in una tenaglia. “Problemi ovunque, dal cimitero alle fogne a mare. Ora bisogna impedire che si saldino il razzista, lo speculatore, il mafioso, l’abusivo, l’architetto a cui non pagherò i lavori”. Ha preparato una denuncia al tribunale di Agrigento. Per difendersi. E soprattutto contro l’istigazione all’odio razziale. Ma davvero devono essere le carte dei tribunali a proteggere una donna sindaco che, di fronte ai cadaveri galleggianti o inghiottiti dalle onde, ha detto “speriamo che gli sbarchi ci siano”? Mollare anche lei in mezzo al mare, ai confini estremi della nazione, o adottarla a simbolo di un’Italia più civile?
Nando
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