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Qui Pavia. Celle aperte e il mondo capovolto
Il Fatto Quotidiano, 30.9.2012
“Delinquenti”. Provateci voi ad avere davanti una
cinquantina di detenuti e a discutere con loro di legalità, giustizia, pene e reinserimento.
E poi a guardarli in faccia quando il discorso cade, senza che ce lo abbiate
portato voi, sulla politica e sulla Regione Lazio, sui furti del denaro
pubblico e sulla corruzione. Provateci voi a capovolgere il mondo in un momento
quando i lasciti di passate storie di droga, le durezze di anni fuorilegge, le
follie di un momento, trovano d’incanto la stessa espressione. Più sprezzante che
a un dibattito pubblico di indignati. “Delinquenti” loro, i rappresentanti
delle istituzioni, per l’ indifferenza verso la legge…
Si discute con molti libri in mano. Perché nella casa circondariale “Torre del
Gallo” di Pavia stanno accadendo grandi cose. Qui, come in altri istituti
animati da buone energie, è passata la parola d’ordine “celle aperte”. Strategia
intelligente contro l’affollamento. I detenuti escono nei corridoi e si incontrano
e parlano grazie a un patto non scritto di responsabilizzazione reciproca. Meno
ristrettezze, più fiducia da parte dell’istituzione, meno presenza incombente
di poliziotti penitenziari, e in cambio l’impegno a rispettare le regole, né
furti né litigi tra etnie o antipatizzanti. Non in tutte le sezioni. Pavia è
anche carcere di alta sicurezza, rimesso a nuovo di recente e in attesa del
campo di calcetto. Il controllo sui perimetri esterni è sempre rigoroso. Ma
dentro si sta cercando di dare un senso nuovo al tempo imprigionato. Come
sempre, quando succedono belle cose, è perché si è creata la combinazione
chimica delle persone. Una direttrice aperta e coraggiosa, Iolanda Vitali,
siciliana di Sciacca. Un giovanissimo comandante della polizia penitenziaria,
Angelo Napolitano. Un’educatrice, Daniela. E poi un’associazione ormai famosa
nel mondo, un nome nato pensando ad altro ma che sembra tagliato su misura per
questo luogo: “Vivere con lentezza”, promotrice da anni delle letture dei
quattro amici al bar in Italia e all’estero.
E’ nata un’esperienza di avanguardia. Un gruppo di lettura che ha rivoluzionato
la biblioteca carceraria, un tempo zeppa di scarti di famiglia o di
istituzioni, e ora arricchita con i saggi e i romanzi del momento da un volontariato
esterno e da un bibliotecario, Fiorano, che ne ha fatto un luogo aperto. Dal
gruppo di lettura è nato “Numero zero. La voce del Gallo”, “periodico culturale
della casa circondariale Torre del Gallo di Pavia”. A dirigerlo è il presidente
di Vivere con lentezza, Bruno Contigiani, un sessantenne creativo che dimostra
vent’anni in meno. “Numero zero per dare il segno dell’incompiutezza, della
ricerca. Tutto è nato quando l’Apolf, l’agenzia provinciale di formazione
professionale, ci ha dato l’incarico di fare qui un corso di comunicazione. E’ un’esperienza che mi ha cambiato
la vita. Prima verso i carcerati avevo dei pregiudizi, lo confesso. Ora penso
quasi solo a questo, sto diventando un po’ maniacale. Ai gruppi ognuno porta il
suo libro e ne legge due pagine agli altri. Lo racconta e dice perché gli
piace. Fare il giornale è più difficile. I detenuti non possono tenere il
computer in cella. Quindi gli articoli vengono scritti spesso a mano su dei fogli
e poi anime buone e volontarie li trascrivono sul computer. C’è un bravo
agente, Domenico, che ci aiuta in tutto. Finché ‘Numero zero’ prende forma”.
Già. E allora ci trovate articoli sulla musica del ’68, sull’onda di
un’attività ricreativo-formativa svolta dagli educatori su richiesta dei
detenuti. Ci trovate pensieri sul primo giorno da detenuto (“E’ qualche cosa
che ti rimane dentro per sempre come il primo giorno di scuola, la prima
marachella o il primo bacio”). Oppure poesie, “Urlo il mio passato e tace il
mio futuro. Ho provato a venderlo, ma nessuno s’è offerto”. O lettere al
direttore con le riflessioni raccolte “nei momenti d’aria” sull’amnistia e “sui motivi per concederla”. C’è perfino
la ricetta della crostata proposta da Diallo. O uno spiritoso dizionario del
carcere, scritto da Leonardo: “Concellino. Nome composto utilizzato solo in
carcere, che indica compagno di cella. Da non confondersi con ‘Con Cellino’
(presidente della squadra di calcio del Cagliari)”. Si coglie un mondo in
effervescenza, che si interroga e che non si fa sconti. Nessuno si professa
innocente anche se c’è chi sottolinea con qualche amarezza che “è anche
questione di fortuna” finire in carcere o no. “C’è anche chi confessa che se
fosse stato coinvolto e responsabilizzato così prima, quando era fuori, forse
nel carcere non ci sarebbe finito”, spiega la direttrice che tutto segue con
una punta di orgoglio.
Poi all’incontro le domande variano. Le istituzioni, il rapporto tra le istituzioni e la mafia, i pentiti e il loro uso, che senso ha lavorare per la legalità, i giovani, la cocaina, perché non la vende lo Stato, così controlla i consumatori e con il ricavato soddisfa i bisogni sociali. Si sente un cammino comune che cerca risposte. Gli interlocutori sono interni. Ma anche esterni, i volontari o “la società”. Sebbene sia presente anche un assessore comunale, la politica è il loro contrario. Con chi dovrebbero imparare a camminare su questa nuova strada? Nessun qualunquismo: ma le immagini di questo mondo che non si arrende trasmettono più serietà e speranza delle feste in costume della politica romana. Qui nessuno si traveste.
Nando
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