Politici pentiti, tra carcere e sconfitta. E politici imbullonati. E giornalismo d’inchiesta vero

 

Eccoli qui in fila. Fiorito (assistito da Taormina…)
dichiara che in carcere non troverà gente peggiore di quella frequentata nel
Pdl. Non fatico a crederlo, soprattutto se lo dice lui. Poteva pensarci prima, però,
invece di aspettare che gli facessero le guerre intestine. La Prestigiacomo,
sempre angelica, dichiara che il sogno berlusconiano non esiste più, che il Pdl
è un’arena in cui lottano bande l’una contro l’altra armate. Ma qual è stato,
di grazia, questo sogno, negli anni passati? Trovo sempre di grande interesse
scientifico il fatto che solo le sconfitte aprano gli occhi a persone istruite
o comunque navigate assai. Che prima tutto sia digeribile e perfino “ottimo e
abbondante” e poi, quando arriva o si ha la certezza che arriverà la batosta,
lo stesso rancio faccia schifo. I terroristi parlavano e si pentivano solo dopo
che finivano nelle mani dei carabinieri e della polizia. I mafiosi lo stesso
(qualche eccezione c’è stata solo di fronte alla paura di essere uccisi dai
propri compagni di avventura). I politici non sono da meno.
Resiste Penati. Che lascerà il consiglio regionale lombardo solo, così dice, quando
sarà confermato l’impianto accusatorio. Confermato da chi? Dal gip? Dalla
sentenza di primo grado? O da quella di secondo? O dalla Cassazione? Sarebbe
interessante saperlo. In ogni caso mi chiarisco sempre di più, nei recessi
gentili del pensiero, perché Penati sia diventato d’improvviso il capo della
segreteria di Bersani. Chissà quali fattori, forze, capicorrente, hanno
congiurato per una soluzione così estranea all’idea che i leader nazionali di
un partito debbano prima di tutto esprimere un pensiero politico. Resiste
naturalmente Formigoni, che sta dando una dimostrazione penosa, ma penosa
davvero, tra Caraibi e conti pavesi, tra pantaloni violetti e consulenze
pantagrueliche, di che cosa possa essere un “governatore” nella regione più
ricca e un giorno più progredita d’Italia.
Va a gonfie vele intanto l’ultima creatura di Melampo: Se muoio, sopravvivimi, libro-inchiesta/intervista di Salvo Palazzolo,
bravo giornalista della Repubblica di Palermo,  con Alessio Cordaro, figlio di Lia Pipitone, a
sua volta figlia di un boss e uccisa dalla mafia in una finta rapina negli anni
ottanta. La sua colpa? Volersi godere la vita in libertà, uscendo dagli schemi
di Cosa Nostra. Sembra un noir, un giallo terribile, e invece è tutto vero.
Grazie a Palazzolo la Procura di Palermo ha appena riaperto l’inchiesta.
E a proposito di giornalismo di inchiesta antimafioso, avviso esaltante,
clamoroso: dal 9 gennaio, per dieci mercoledì di fila terrò di nuovo a Scienze
politiche il laboratorio di giornalismo antimafioso. E questa volta portandomi
in aula i nipotini di
www.stampoantimafioso.it,
il magnifico sito nato dal primo laboratorio, due anni fa. Numero chiuso perché
qui mica si pettinano le bambole, e nemmeno si smacchiano i giaguari…

 

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