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Brindisi. Quel che non sapete del dopo Melissa
Il Fatto Quotidiano, 21.10.2012
La studentessa bionda in seconda fila alla sinistra del palco ha riso e sorriso fino a quel
momento. Si parlava di Melissa e lei mandava grida contente. C’è qualcosa di
surreale, che prima stordisce e poi affascina, nella gioia con cui le compagne
di Melissa Bassi, uccisa da una bomba davanti alla sua scuola nello scorso
maggio a Brindisi, accolgono e poi gridano il suo nome. Il nome di una ragazza morta
in quel modo lanciato con felicità verso il cielo, a volte ritmando “noi non
moriamo mai”. Sembra incoscienza. Chi arriva da lontano resta senza parole: ma
queste ragazze l’hanno capito che cos’ è successo? Accidenti se l’hanno capito.
Quando viene chiamato al microfono Massimo Bassi, il papà di Melissa, i bei
volti da adolescenti si trasfigurano. Gli occhi della studentessa bionda, una
felpa con su scritto “Il silenzio è mafia”, si inumidiscono di colpo,
trasmettono una commozione irresistibile, si disfano i primi trucchi sui volti
di tutte le ragazze assiepate sotto il palco di Piazza Vittoria. E’ il momento
più intenso della manifestazione che ha chiuso il ciclo di tre settimane
“Brindisi capitale dell’antimafia” organizzato dalla Scuola di formazione politica
Antonino Caponnetto, e dalle associazioni “Proteo Fare Sapere” e “Io Donna”,
con Libera, la Cgil di Brindisi, il Coni di Brindisi.
Melissa. Quel nome si è ormai conficcato nel cuore di una generazione di
studenti. E ha segnato una città che ha scelto molte strade per reagire.
Negando l’esistenza della Sacra Corona Unita, che i magistrati danno invece per
viva e vegeta. O facendo finta di niente, “poveri genitori”. Oppure caricandosi
del dovere di respingere comunque ogni forma di intimidazione. Come ha fatto la
festosa foresta di magliette bianche con su scritto “Io non ho paura” che ha
invaso la città alla manifestazione del 26 maggio scorso, una settimana dopo la
bomba esplosa davanti alla Scuola di servizi sociali intitolata a Francesca
Morvillo Falcone. Quelle magliette sono riapparse anche ieri mattina nel lungo
percorso che ha portato dal Palazzo di Giustizia, proprio accanto alla scuola
colpita, fino al palco di piazza Vittoria. Non era affatto scontato che gli
studenti arrivassero così numerosi. Invece sono arrivati a grappoli, come a un
appuntamento morale con se stessi. Il liceo Fermi, il Monticelli, il liceo
artistico Simone, il liceo musicale Giustino Durano, il Palumbo, psicopedagogico.
Gli istituti tecnici Giorgi e Majorana, il geometri Belluzzi, il nautico
Carnaro, anche il liceo scientifico di Mesagne. E’ l’elenco della meglio
gioventù brindisina. Non hanno avuto
l’autorizzazione le studentesse della Morvillo-Falcone, che però ci sono e per
questo ritmano per protesta “tutta la scuola, tutta la scuola”. Il sole riscalda
l’entusiasmo contagioso. Una fila intera avanza a due piani, ragazzi e ragazze a
cavalcioni sulle spalle dei coetanei, con creste di capelli altissime che
svettano ondeggiando. Al cavalcavia lo sguardo si perde in un fiume di giovanissimi
antimafiosi, saranno quattro-cinquemila secondo questura (diecimila, si
entusiasma il sindaco), certo molte volte più delle normali manifestazioni
politiche. Qualche incursione immaginifica di Peppino Impastato (“La mafia è
una montagna di merda”), ma poi riemerge sempre il trauma di maggio. La
scoperta che si può morire al suono della campanella, la propria compagna che
diventa “un angelo”. Il padre cammina con loro, anzi davanti a loro; la mamma
non se l’è sentita, c’era la sera prima al teatro Impero ad ascoltare Giancarlo
Caselli, ragazza anche lei, piegata da un dolore che le esplode da ogni
lineamento. C’è il loro avvocato, Ferdinando Orsini, presidente del consiglio
comunale di Mesagne, città condotta con pazienza fuori dall’incubo criminale di
dieci anni fa.
Tre settimane di antimafia piene di tutto. Giochi paralimpici, letture in piazza (la gente che si alternava a leggere i brani più belli del libro preferito), cinema, teatro, concerti, marcia della pace, voci bianche, dibattiti, giochi di scacchi (“scacco matto alla mafia”). Nando Benigno, Raffaella Argentieri, Sandro De Rosa, Angela Citiolo, Mino Marangio, Marcello Perrone. E altri, insegnanti e cittadini, mamme e studenti. Grazie a loro e alla loro fatica, nel paese dove i partiti pensano ad altro e dove gli intrecci tra cosa pubblica e criminalità spuntano come funghi, migliaia di giovani hanno dato un messaggio non solo a Brindisi ma all’Italia. Così, mentre osservavo questo rigoglio di innocenza e di voglia di pulizia, questo festival di partecipazione in una città di cui si è parlato solo per gli sbarchi degli albanesi o per la bomba di maggio, ho pensato che è davvero bello avere uno spazio per raccontare queste meraviglie a chi non le può vedere. Per ribellarsi all’indifferenza che annulla le voci (“il silenzio è mafia”) e cancella gli occhi inumiditi della studentessa bionda in seconda fila. Per ribellarsi a chi, vedendo il programma delle tre settimane brindisine, ha subito pensato “ma chi se ne fotte di Brindisi”.
Nando
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