Metti un incontro in treno. E la più bella canzone di Modugno…

 

Il Fatto Quotidiano, 28.10.2012

Ricordate “Vecchio frack”, quella stupenda poesia messa in
musica, il vero capolavoro di Domenico Modugno? Un Roma-Milano freccia rossa, i
posti con le numerazioni nuove che non si capiscono quasi mai a prima vista. E
un signore anziano, molto anziano. I vestiti ordinati e lindi di una volta. Né
grisaglie né giacca blu. Grigio, un grigio decoroso. Chiede con molta
educazione se sia quello il suo posto. Sbaglio e gli dico di sì. Finché arriva
la legittima proprietaria e lui si profonde in mille scuse, spostandosi nelle
poltrone di fronte. Anche la legittima proprietaria è molto gentile. Sui
quarantacinque, vestita con fantasia di colori, borsa compresa. Sorridente ma molto
riservata. Ha voglia Trenitalia a chiedere (per altoparlante…) di tenere le
voci bassi sui telefonini. Un tale che deve essere di un ente pubblico torinese
va avanti almeno mezz’ora a tessere manovre elettorali via cellulare per
qualcosa che mi sfugge; parla di voti che ha, di maggioranze per le quali ha
bisogno anche del voto dell’interlocutore, di fondazioni bancarie che lo
sostengono, di un’alleanza con i siciliani e forse anche i lombardi. Una noia e
un fastidio impareggiabili. Loro due no. Né il signore anziano, né la signora
giovanile. Uno assorto nella lettura di un giornale, l’altra in qualche lavoro
tenuto da parte per le ore del treno. Lui al cellulare parla sotto voce.
Dialoga con una signora o signorina che deve venire a prenderlo alla stazione
di Milano, è galante, le fa molti complimenti senza conoscerla, non per
corteggiarla ma per innata cavalleria. Spiega che lo riconoscerà dal soprabito
grigio e dalla coppola, ma non è un mafioso, almeno finora è riuscito a non
esserlo. Ma anche lei, la sua dirimpettaia, quando la chiamano parla sotto
voce. Poche battute sul lavoro, sto facendo un comunicato stampa, ho l’auto a
Rogoredo, sarò a casa per metà pomeriggio. Arriva il carrello con le bibite. E
qui il signore fa un gesto che in queste occasioni non ho mai visto fare. Con
ampio movimento di mano invita la commessa a offrire prima alla signora. Un po’
di galateo, perbacco. Poi la invita a servire me. Infine si prende un bicchiere
d’acqua. Dopo un poco è la volta del carrello dei quotidiani. Chiede “il Sole
24 Ore”, e lo riceve. Poi chiede anche “Repubblica”. La commessa replica secca
che non glielo può dare. Un quotidiano e basta. Lui la lascia andare, poi
scherza: “Ma avete visto come ha detto di no? Che rigore (la imita
leggermente). Una così bisognerebbe metterla in un ministero”.
Lo tranquillizzo, gli dico che “Repubblica” gliela darò io e lui ringrazia
affabile. Intanto un uomo giovane arriva da un’altra fila e apostrofa
scherzosamente la signora colorata che mi sta di fronte. La chiama “compagna”,
le rimprovera di leggere solo “l’Unità”. Anche se non gliela vedo in mano, mi
faccio un’immagine più completa della sua identità: è una signora gentile,
colorata e di sinistra. Quando il treno arriva alla stazione di Milano, il
signore molto anziano si alza in piedi e spontaneamente va verso il
valigione-baule rosa che la nostra dirimpettaia deve prendere dal portabagagli.
In due dai due lati non ce la fanno. Allora mi alzo e lo tiro giù io per la
maniglia. Lui mi elogia: “Si vede che lei è nato per le cose pratiche”. Gli
rispondo che è il primo in vita mia che me lo dice, poi ci avviamo tutti e tre
verso l’uscita. Qui il signore molto anziano chiede alla signora gentile,
colorata e di sinistra dove abiti. Lei risponde “ad Asti” o “vicino Asti”, non
ricordo bene. Allora lui ha un soprassalto, come di nostalgia. “Ad Asti”,
esclama, “non è molto distante da Mortara”. “Lei conosce Mortara e Asti?”. “Sì,
ricordo quel ponte…”, (lo nomina ma non
capisco). “E come mai ricorda tanto quel ponte? Perché le è rimasto impresso?”,
chiede lei sempre più incuriosita. “Perché su quel ponte ho ucciso una
persona”. Un attimo solo di imbarazzo: “L’ho fatto durante la guerra
civile…(pausa, si corregge)..durante la Resistenza”. La signora si illumina:
“lei ha fatto la Resistenza?”. “Sì, ero molto giovane”. “ Ma tutta la mia
famiglia ha fatto la Resistenza da quelle parti. Sa, io sono la nipote di Luigi
Longo, il comandante partigiano, il segretario del Pci dopo Togliatti”. Anche
lui si illumina, in due secondi la parola “Resistenza” li ha riempiti di gioia,
giuro che non è retorica, ma è come se si riconoscessero amici, fratelli, dopo
tre ore passate l’uno di fronte all’altra in treno senza parlarsi. Sembra che
in quegli attimi festosi sul predellino si riuniscano emozioni e memorie lunghe
un popolo. Vorrei unirmi ma sono troppo felici del loro reciproco riconoscersi.
Non si rendono nemmeno conto che ho tirato giù io, nel frattempo, il
valigione-baule rosa per non costringerli a interrompere l’euforia. Me li lascio
alla spalle, con quel profumo di sentimenti e modi antichi. Dalle profondità
della memoria riemergono misteriosamente le note di Modugno. Il cilindro, il
papillon, la gardenia. E il vecchio frack che “galleggiando dolcemente” porta
le sue meraviglie verso il mare.

 

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