La bimba con la faccia più siciliana di tutte

 

Il Fatto Quotidiano, 25.11.12

Che impasto, ragazzi! Metteteci Verga, Fava e uno spruzzo di
Tornatore e avrete una mattinata di memoria antimafia memorabile davvero. Accade
a San Gregorio Magno, su per la striscia di mare che da Catania va per
Acicastello e Acitrezza. Un sole splendido, un mare novembrino scintillante. Un
municipio tra edifici barocchi e pietre laviche e qualche bianca parete
sgarrupata. Un’adunata di autorità con reciproche presentazioni. Ma non è il
circolo dei nobili o dei borghesi. E’ un piccolo pezzo di Stato che decide di
ricordare un suo eroe nei luoghi che spesso hanno dimenticato. Alle porte di
Catania, della città voluttuosa che Pippo Fava chiamò un giorno città-puttana per
la sua capacità di farsi scivolare addosso ogni cosa. C’è da intitolare un auditorium
a una vittima di mafia. Lo ha deciso il sindaco, Remo Palermo, un avvocato che
graffia nel piccolo per cambiare la sua Sicilia. Ha voluto riaprire dopo
vent’anni il vecchio cinema del paese, quasi duecento posti al chiuso e un’arena
estiva proprio a fianco. E ha voluto farlo intitolare dai bambini con un referendum.
Quale nome volete dare all’auditorium?, ha chiesto l’amministrazione alle due
scuole del paese: la Purello (elementare) e la San Domenico Savio (media
inferiore). Gli alunni e le famiglie hanno deciso, scegliendo tra un po’ di
nomi. E oggi si fa come hanno detto loro. Dietro le autorità non ci sono masse
di popolo ma è giorno di lavoro, non si può pretendere troppo. Molti
carabinieri in pensione con le loro memorie, ti ricordi quella volta, io l’ho conosciuto.
Il sindaco ci tiene e si vede, è emozionato. Taglio di nastri, ed è tutta una
nuova Sicilia, altro che i frizzi di Brancati. Si chiama Francesca il prefetto,
Antonina il commissario appena nominato da Crocetta alla provincia di Catania.
E’ pure donna, ma questo è un po’ più normale, l’assessore alla cultura. Dentro
è un trionfo di bambini. Sono schierati su due piani. Quelli in alto suonano i
flauti, quelli in basso cantano. Sono emozionatissimi, tutti in giallo. Partono
i flauti con l’inno nazionale e mi aspetto da un momento all’altro la stecca di
qualcuno, come succede nelle migliori bande di paese. Macché, non c’è una
stonatura. Cantano entusiasti, innocenti. Ci credono. Al punto che mi metto a
cantare anch’io che non lo faccio mai, perché ci trovo sempre un’aria di
esibizionismo, e poi quel “siam pronti alla morte” cantato a petto in fuori da
conigli che scappano davanti al primo ‘ndranghetista mi fa infuriare. I bambini
cantano anche l’inno della Sicilia, che non conoscevo. E’ bellissimo, le parole
sembrano un rovesciamento della storia. Le canta con orgoglio che sovrasta
chiunque altro una bimbina riccia al centro, che ha la faccia più siciliana di
tutte, in certi passaggi quasi si solleva da terra.
Poi altra scuola altra musica. Concerto barocco di una media a indirizzo
musicale. Ora sono tutti vestiti di bianco. Una prof dall’aria materna si siede
accanto a loro. Sta a una pianola, suona anche (di nascosto) per un bambino che
non tocca nulla, si vede che ha le stampelle. Mi sembra una forma di
solidarietà meravigliosa. Senti la forza di un lavoro appassionato, un giorno
si scriverà la grande storia degli insegnanti siciliani di questi decenni.
Poi si inaugura la targa dell’arena. Il prete la benedice mentre i bambini
iniziano ad andarsene. Qualcuno ricorda i tempi andati del posto e senti
profumo di “Nuovo cinema Paradiso”. Gli anni cinquanta, la gente assiepata davanti
allo schermo della grande parete bianca, la cassetta del ghiaccio, il profumo serale
dei gelsomini mescolato a quello dei bomboloni preparati al mattino con le sue
mani dalla proprietaria, la signora Maria Sciuto. Si rientra in sala, c’è meno
folla, i bambini devono andarsene e i genitori venuti a vederli pure. Si
ricorda la vittima. Lo fanno il colonnello dei carabinieri, il sindaco Palermo,
un familiare. Un po’ di corsa, occorre evitare lo svuotamento della sala prima
che arrivi mezzogiorno e mezzo.

 

Segue rinfresco. Molto austero, da spending review. Senza più i bambini delle scuole. Il clima cambia rapidamente. Strana Sicilia, slancio etico e attesa del buffet. Il fornaio incaricato di ammannire agli ospiti i gioielli salati e dolci della gastronomia locale è in ritardo. Vanno via anche le autorità, ha pure iniziato a piovere, il sindaco si preoccupa degli ospiti. Alla fine il fornaio arriva. Sbarca con teglie e teglie. Schiacciate, arancini (“qui si dice arancini, mica arancine come a Palermo”), cannoli. Un assessore esorta a chiamare i dipendenti comunali, non si può sprecare -e ha ragione- quel bendidio arrivato in ritardo. Continua a piovere, la compagnia si scioglie come per incanto. C’è una spolverata di buona e antica letteratura siciliana in tutto questo. Eppure un’immagine resta al centro e smuove tutto, altro che il fornaio, altro che la pioggia. Resta la bambina con i ricci nerissimi e con la faccia più siciliana di tutti, che canta l’ inno dell’isola sollevandosi da terra. Come se la sua generazione aspettasse solo di prendere il volo.

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