Primarie: privilegi o diritti? Risposta agli adoratori delle regole (a cui mi sono attenuto)

 

Ne ero certo, conosco usi e costumi della “ditta”. Che non
brilla per la sensibilità ai diritti, anche se le piace affettare di averli in
gran rispetto. Tra tante dichiarazioni di solidarietà, mi è arrivata da più
parti un’accusa: di credermi diverso e titolare di diritti che gli altri non
hanno. Insomma, il colpevole sono io. Come se fossi quello che vuole passare
con il rosso, o che cerca di entrare gratis da qualche parte dicendo “lei non
sa chi sono io”. No amici cari. Non è così. Primo. Io non penso di avere un “mio
personale” diritto. Io penso di avere un diritto che spetta a qualunque tesserato, ed è questo che non
si vuole, proprio non si vuole capire. Per la prima volta nella storia dei
partiti italiani, almeno quella che conosco io, si è stabilito il principio che
un tesserato (non io, un qualsiasi tesserato) non abbia diritto di voto senza
autorizzazione dall’alto. Si è cioè stravolto un principio cardine della
democrazia politica.
Non argomento oltre in proposito, rinvio all’articolo qui accanto. Dice: ma
perché non ti sei attenuto alle regole? Risposta. Benché folli, mi ci sono
sottomesso. Ossia ho chiesto l’autorizzazione a votare al secondo turno, come
previsto. Ci è andata la biondina, con la mia patente, perché avevo lezioni,
esami e altre cose. L’ha chiesta per me, spiegando che al primo turno ero fuori
Milano (qui l’ho già scritto: a Genova, incontro sulla mafia). L’ha chiesta per
sé, perché quella domenica non stava bene ed è vero e lo sanno tutti gli amici.
Hanno risposto di no a tutti e due. Spiegazione ufficiale dei bersaniani in
tivù (per me): si era imposto di non andare a votare (senza aggiungere perché,
ovviamente: assenza della mafia dai programmi dei candidati). Come dire: così
impara. Spiegazione successiva: motivazione insufficiente. Senza contare il
trattamento villanzone riservato alla biondina dal tipo del Pd che le ha
risposto al telefono quando chiedeva notizie ufficiali.
Terzo. Non mi sono presentato ai seggi a fare la sceneggiata con la tessera in
mano (e magari i fotografi dietro). Né ho minacciato la restituzione di una
tessera ormai dichiarata senza valore dallo stesso partito (lo so, lo so, che
farei felice qualcuno…). Ossia ho accettato l’esito delle “regole” e anche
della loro interpretazione. Dove, dunque, ho pensato di essere diverso od ho
preteso un privilegio in forza del mio nome? Il problema che ho sollevato vale
per tutti gli iscritti ai partiti. Posso solo dire che auguro di cuore una cosa
a quelli che hanno sentenziato che le regole si rispettano: che un giorno
qualcuno confischi loro un diritto e che, mentre provano a difenderlo, si
trovino intorno una schiera di persone che li sgridano, perché, per la miseria,
queste son le “regole”. Forse capiranno. Si incomincia sempre così, alzando le
spalle e dando la colpa a chi protesta. Perciò siamo a questo punto, mica solo
per la casta.

 

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