Vi ricordate di Domenico Noviello? A proposito di perizie che uccidono

 Il Fatto Quotidiano, 23.12.12

Questa è una storia spudorata. Di imprenditori per bene che
finiscono uccisi, di killer di camorra che finiscono in carcere, di medici che
fanno perizie indecenti e finiscono prima in jaguar poi in manette. Se la si
racconta qui, tra le vicende edificanti, è perché vi si conferma la speranza
del celebre mugnaio, che “ci sarà pure un giudice a Berlino”. Berlino stavolta
è la Direzione distrettuale di Napoli. Ascoltate, dunque. Al centro c’è
Giuseppe Setola, capo dell’ala militare dei casalesi. Che nel 2008 riuscì a
venir fuori con uno stratagemma dal carcere di Cuneo dov’era recluso, per
tornare in Campania e guidare una sfilza di delitti di camorra. Per dare
lezioni a pentiti, a imprenditori e commercianti che avevano denunciato, a
disperati del crimine che davano fastidio. Fino alla strage bestiale di
Castelvolturno. Insomma un killer sanguinario, che venne ripreso un anno dopo
nonostante una rocambolesca fuga tra le fogne.
Ma grazie a quale stratagemma Setola era uscito dal carcere? Qui entra in scena
e diventa il vero protagonista della vicenda un medico. E’ un oculista di
Ragusa, di nome Aldo Fronterré, trasferitosi a Pavia e a cui la prestigiosa clinica
Maugeri, la stessa al centro della trama di affari Daccò-Regione-Formigoni, ha
offerto ponti d’oro, si vede che le affinità elettive esistono sul serio.
Setola lamenta una malattia che lo sta rendendo cieco. E chiede di potere
essere curato agli arresti domiciliari. Decide il competente tribunale di Santa
Maria Capua Vetere. Che dispone una perizia sul detenuto. E stabilisce -attenzione-
che la perizia vada compiuta non a Napoli o a Caserta, ma a Pavia, e chissà
perché proprio a Pavia. Fatto sta che lì viene stesa la perizia che dichiara il
boss ormai in stato di cecità e per giunta inoperabile. Deve andare agli arresti
domiciliari. In cura presso la Maugeri, naturalmente. Da cui, nel 2008, scappa
al momento buono, giusto in tempo per tornare in Campania e, ufficialmente
cieco, partecipare a una sequenza di stragi. Dirette in primo luogo a punire
chi ha infranto le regole del “Sistema”. Tra questi, Domenico Noviello, 65
anni, due figli, titolare di una scuola guida che nel 2001 aveva denunciato e
fatto arrestare gli estorsori, e di cui il giornalista Raffaele Sardo nel suo
libro La bestia ha raccontato il
coraggio e la fine, venti colpi di cui tre alla testa alle 7.30 di un mattino. Roba
da non darsi pace. Una perizia sbagliata (o falsa) che provoca diciotto morti.
Com’era possibile che nessuno pagasse? E come mai da Santa Maria Capua Vetere
si era affidata questa perizia proprio alla Maugeri di Pavia (dove fra l’altro
è stato trovato sotto falso nome anche un latitante del clan Pelle di San Luca)?
E che rapporto c’è tra questa fetida storia e la sanità corrotta e corruttrice
lombarda? Venerdì la storia ha avuto una svolta positiva. La Direzione
distrettuale antimafia di Napoli ha disposto l’arresto per concorso esterno in
associazione mafiosa dell’oculista proprio a partire da quella perizia. E con
lui è finito agli arresti un avvocato, stavolta direttamente per associazione
mafiosa visto che teneva i contatti tra detenuti e clan, fino a inghiottirsi un
pizzino durante una visita al carcere di Opera. Si chiama Alessandro Casella,
questo legale, ed è stato il candidato sindaco di Casagiove, provincia di
Caserta. Per il Partito democratico, di cui, fortunatamente sconfitto, ha poi
fatto il capogruppo in consiglio comunale. Dice il partito che da tempo non
aveva più avuto la tessera di partito. Ma la verità è che il nuovo direttivo
del circolo locale si è rifiutato di dargliela, polemizzando apertamente con
chi a livello provinciale lo aveva protetto. Bravissimi gli uni, si vergognino
gli altri.
 

Però ora sappiamo ancora meglio come avvengono le stragi di camorra. Ora sappiamo perché un imprenditore coraggioso come Domenico Noviello possa essere ucciso. Ci vuole il capokiller con i suoi sicari, certo. Ma ci vuole un tribunale che disponga una perizia in un posto che sembra individuato su misura. Poi ci vuole un oculista disposto a scrivere la perizia che gli viene richiesta e appassionato di jaguar (glielo ricorda in una lettera lo stesso Setola). Ci vuole una sanità come quella lombarda dove in una indecente rete di affari si è fatto strada il “metodo Maugeri”. Ci vuole un avvocato (è lui che scova Fronterré…) che si trasformi in strumento dei clan, magari con l’alibi del diritto alla difesa. E ci vuole un partito che gli dia copertura politica, fino a insurrezione dei militanti locali. Per fortuna dopo quattro anni è arrivata la Dda di Napoli a dire che in questo paese le perizie che uccidono e fanno stragi si pagano, per la miseria. Domenico Noviello, la cui morte è iniziata a Pavia con quella firma, diventi ora il simbolo inflessibile di questa maledetta zona grigia, di questo concorso esterno in cui, per dirla con un procuratore della Cassazione, “non crede più nessuno”. Testimoni, come gridò allora una studentessa, Raffaella Mauriello, che “casalesi è il nome di un popolo, non solo di un clan”.

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