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Chiamami Umberto, sarò la tua birra. E i curricula farlocchi
Alé, hanno iniziato. Mi dicono che a un sacco di riunioni
arrivi l’ultimo cireneo e inizi a straparlare di “Umberto”. Che gli ha
telefonato, che gli ha detto. “Umberto” come un suo intimo amico, perché
proprio non gli viene di chiamarlo in un altro modo: “Umberto”, senza aggettivi
e senza cognomi. Umberto, l’avrete capito, è Ambrosoli. In genere sono i
millantatori e i mentecatti che parlano del personaggio del giorno, potente o
forse domani potente (nel caso: speriamo!) chiamandolo per nome, affettando
familiarità in pubblico e raccontando: “io a Umberto (o a Romano, o a Walter, o
a Giuliano; ne ho visti di tutti i tipi) gliel’ho detto”. E tu immagini Romano
o Giuliano che si siedono pensosi a un tavolo, una mano sulla spalla del
cireneo e gli chiedono di consigliarli, perché tra una settimana non sanno che
cosa dire alla Merkel o a Monti. Poi capisci che il cireneo deve avergli rotto
l’anima mentre si godevano un caffè al bar o salivano in ascensore, urlando da
dietro le guardie del corpo, “mi raccomando professore, il lavoro per i
giovani!”, ricevendo dal professore (“Romano”) un sorriso di circostanza.
Da qui a fine febbraio sarà tutto un “Umberto” che passerà da un tavolo a una
scrivania, da una chiacchierata al bar a una riunione di partito. E dunque qui
vi annuncio che cosa farò io che “Umberto” lo conosco da quando era ragazzino e
che ho imparato a voler bene alla sua famiglia quasi trent’anni fa. Lo chiamerò
rigorosamente Ambrosoli e magari anche, in contesti in cui non suoni ridicolo, “l’avvocato
Ambrosoli”. E ogni tanto farò perfino qualche domanda a tradimento in pubblico agli
“intimi” di turno, giusto per rendere meno ciarlatano il clima.
A proposito di ciarle, ne trovo un po’ in qualche nota autobiografica dei
candidati alle primarie. Come Micciché scrisse sulla “Navicella” parlamentare di
essere docente di pianificazione regionale all’università di Cosenza (ci aveva
tenuto un intervento come ospite
politico!), così qualche candidato/a ha infilato per i gonzi qualche notizia
farlocca. E lo stagista di uno o due mesi un altro po’ diventa ministro. Se partono
così già dalla candidatura, figurarsi dopo. Farlocche anche le regole. Per
Milano e provincia era stato deciso, su proposta di Scalfarotto, che si desse
all’elettore la possibilità di sapere a che titolo i singoli candidati venivano
presentati: se come ex parlamentari (e uno va a vedere che cos’hanno fatto), se
come dirigenti di partito (idem) o per avere raccolto le firme. Niente. Nemmeno
l’ordine alfabetico, ma un elenco in cui non si capisce chi sia dentro a quale
titolo, e comunque composto in modo tale da favorire quelli che devono passare
e spingere “più in là” quelli che non devono passare, tra cui ben tre di quelli
che trovate indicati nel post precedente: Marilisa D’Amico, Ettore Martinelli e
naturalmente Laura Specchio. E questo non sta bene. Lo dico spassionatamente:
non sta bene. Non si passa dall’idolatria delle regole (“Le regole! Le regole!”:
vedi primarie di Bersani) all’arbitrio assoluto (le primarie di sabato
prossimo). Come che vada, domani vi darò un
elenco mio personale dei candidati
antimafia. Fatelo girare, mi raccomando…
Nando
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