Il bel tranvierino e la piccola fioraia. Favola parmigiana

 

Il Fatto Quotidiano, 6.1.13

Per lei oggi è una domenica speciale. Ne fa cinquantasei. Ma
non è il compleanno. Cinquantasei sono gli anni di matrimonio con il suo Gianni.
“Più cinque di fidanzamento”, aggiunge orgogliosa, come a dire “guardate che
grande storia d’amore che ho vissuto”. La Vittoria (Cavalca di cognome) fa la
fioraia sullo stradone della Villetta a Parma. Quattro vetrine che danno luce
al grande chiosco di proprietà del Comune sulla via che ebbe il nome da Maria
Luisa. Minuta, un po’ più minuta con il passare degli anni, i capelli
ricciolini di un colore castano, porta un giaccone verde oliva e una sciarpa
variopinta intorno al collo. Coperta ma non infagottata, “perché ci vuole
sempre un po’ di decoro”, come disse un giorno ai vigili che le suggerivano di
non tenersi addosso una collana lì sulla strada. E’ questo il suo regno, tra
rose rosse e bianche, gerbere gialle e arancioni, fiori di campo, piantine e grandi
macchie di verde, e un gatto ventenne in cerca di angoli caldi. Entri e respiri
una gentilezza innata di anni lontani. Prima di vendere i fiori lei parla e
racconta, chiede e partecipa. L’acquisto è solo la conclusione di un rapporto
sociale. “Ha bisogno di andare in bagno? Vuole posare qui la borsa?”.
I suoi clienti sono per la gran parte anziani, soprattutto donne. E c’è un
motivo. Dall’altra parte dello stradone c’è il cimitero della Villetta. Vengono
per comprare fiori che non entreranno in una casa, ma che sfideranno in
silenzio il freddo e il gelo. Lei consiglia, “questi durano”, “meglio una
piantina”. Conosce i fiori, sua nonna ebbe la licenza nel 1900,  la prese a lavorare qui da quando aveva undici
anni. Ma oltre ai fiori conosce anche chi li compra. Regala compagnia a chi
arriva qui solo, e sa di potersi fermare da lei prima e anche dopo, con la scusa
di riprendere la borsa che la Vittoria si offre sempre di custodire. Per
lasciare libere le mani che dovranno portare un mazzo di fiori o una pianta.
Quando qualcuno non può venire per un periodo più o meno lungo ci pensano lei o
sua figlia Giovanna oppure Angela, la collaboratrice, a portare i fiori dove
vanno portati. Con cura, come fossero parenti. Si mette sul conto e le persone
pagheranno quando potranno. Nei posti di lusso lo fanno ristoratori e
albergatori con i signori imbottiti di euro. Qui la Vittoria lo fa con le
vecchine che non sa se arriveranno alla fine del mese. Antica solidarietà
parmigiana, eredità delle lotte sociali che fecero dell’altra parte del fiume
uno dei luoghi di più indomita resistenza al fascismo.
Sotto Natale la Vittoria tiene sul banco tutto ciò che è in grado di ricordare
anche qui che questi sono giorni di festa. La piantina ornata con il babbo
Natale, l’elefantino di peluche con il berretto rosso e bianco, semovente e con
il jingle bells incorporato. Lo depone per terra e ride di gusto vedendolo
cantare, quando lei era piccola queste cose erano magia purissima. “Lo vede che
carino?”. Ma c’è anche il pinguino con la sciarpa natalizia che messo per terra
danza e canta le canzoni di Natale e la Vittoria allora ride come una bambina.
Finché, sentendo che il marito era un dipendente dell’azienda dei trasporti, il
mio compagno di viaggio dice di averlo conosciuto. Il Gianni era un suo collega
più anziano, “gli faccia gli auguri, io sono il Carlo”. Gli occhi della
Vittoria si illuminano: “Anche lei guidava gli autobus? Be’, io il Gianni l’ho
conosciuto così”. La memoria le accende il viso: “Passava qui davanti con il
suo tram, era l’1, e ogni tanto si fermava. Prima faceva il bigliettaio, poi
iniziò a fare il guidatore. Era magro, così magro che lo esentarono dal
servizio militare per insufficienza toracica. Ma a me piaceva tanto, era un
così bel tranvierino”. Tranvierino, non l’avevo mai sentito dire in vita mia.
“Mi innamorai un giorno che venne qui da me e mi diede un pizzicotto affettuoso
sulla guancia. Mi fece in questo modo (mima il contatto). Io avevo quindici
anni, lui venti. Restai estasiata. Incominciò così”.

 

Il racconto conquista un’altra anziana signora, per i fiori c’è tempo, qui davanti al cimitero si parla e si racconta, si ride e ci si commuove per la vita. “Qual è stato il segreto? Gianni mi ha sempre detto così: ‘litighiamo ma abbracciati’. Ed è vero, guardi, non bisogna farsi male. Certo che si discute, anche animatamente, ma si parte dal principio che si sta vivendo insieme. Sa che noi a ogni anniversario andiamo a messa da don Lorenzo? Ne ha sentito parlare? A Parma è famoso, è il sacerdote che lavora col carcere. Anche domenica ci andremo, alla parrocchia di via del Prato. Caro il mio Gianni, è ancora un bell’uomo”. Qui la Vittoria si illumina di immenso. La figlia smette di fare i conti per qualche cliente in arretrato con i pagamenti. Le va vicino e se la guarda con un misto di ammirazione e tenerezza. Dall’altra parte dello stradone passa l’1, non ci sono più i binari, non c’è più il tram. Ora è un autobus. Qualcuno scende e si avvia verso il chiosco. Chissà se conosce la favola, nata qui sessant’anni fa, del bel tranvierino e della piccola fioraia. 

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