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Silvio Novembre. Malinconie da maresciallo per bene
Il Fatto Quotidiano 3. 3. 13
La foto vera è un’altra, come sempre. L’istantanea più bella
e intensa del popolo di Ambrosoli all’arrivo dei risultati è quella che nessuno
ha mai scattato. Ma che si è fissata negli occhi di chi usciva dal teatro Litta,
dove i comitati del giovane avvocato si erano riuniti ad attendere l’esito del
voto. Proprio davanti all’ingresso, nel passo carraio che dà su corso Magenta,
sostava silenzioso un uomo anziano appoggiato a un bastone. Era il maresciallo
Novembre. La storia bella e dignitosa di Silvio Novembre è stata narrata in “Un
eroe borghese”, il libro che Corrado Stajano dedicò alla vicenda di Giorgio
Ambrosoli. E si ritrova anche in quello scritto da Umberto molti anni dopo,
“Qualunque cosa succeda”. Novembre, maresciallo della Guardia di Finanza, fu
affiancato dai magistrati a Giorgio Ambrosoli che contrastava le malefatte di
Michele Sindona, il bancarottiere appoggiato da Giulio Andreotti. Collaborò con
bravura tecnica e coraggio civile con l’avvocato, al quale sentì il dovere di
garantire anche protezione fisica e un’infinità di ore di straordinario mai
retribuite. Non piacque a molti, quella dedizione alla causa. Né a qualche
superiore in grado, né all’avvocato di Sindona, Rodolfo Guzzi. Sulla cui
agenda, al giorno 4 novembre 1977, venne trovato il seguente appunto: “Riunione con Gelli.
Sostituzione di Novembre”.
Il maresciallo rimase accanto a Giorgio Ambrosoli fino alla fine. Nei decenni
successivi ha onorato in ogni occasione la sua memoria. E mai ha dimenticato il
funerale di quel mattino di luglio del 1979: Milano, una giovane vedova e tre bambini
che le camminano accanto; uno, Umberto, il più piccolo, accelerando il passo. Nessun
membro del governo presente, solo una pattuglia di amici. Nelle scorse
settimane avrà pensato, accidenti se ci avrà pensato, a quel bambino che
diventa presidente della Regione. Avrà immaginato la giovane vedova con i
capelli ormai tutti bianchi felice per la storia che riscatta quella solitudine
indecente. Per questo all’uscita del Litta, Novembre, nelle foto d’archivio
alto e robusto, appariva di statura quasi normale, appoggiato al suo bastone.
Negli ultimi tempi il maresciallo non esce più molto di casa. Ma martedì aveva
voluto esserci, per festeggiare il bimbo del “suo” avvocato. Non gli è stato consentito,
per libera scelta degli elettori. I suoi occhi erano fessure doloranti, lame
silenziose di malinconia che parlavano all’Italia per bene e la interrogavano,
le parole non gli venivano, aveva un groppo in gola. Nessuno lo ha scorto. Piccola
Italia con le telecamere e i telefonini sempre in mano…
La foto che nessuno ha scattato ti si pianta nell’anima. Perciò vien da pensare
che sarebbe stato bello se lui a sua volta, due giorni dopo, avesse potuto
incidersi nella memoria una scuola dal nome romantico, “Le ali della libertà”,
un nome deciso dagli alunni per una media inferiore a Pozzo d’Adda, località
Vaprio, un edificio basso e moderno nella grande provincia a est di Milano,
intorno gli alberi con i primi nidi in attesa della primavera. Se avesse potuto
vedere la disciplina educata e partecipe dei ragazzini, altro che l’anarchia
chiassosa di certe scuole, fedele riflesso della società adulta. Lì i futuri
cittadini si allenano a pensare alla politica con un “loro” consiglio comunale.
Portano nomi esotici: Felipe, Carlos, Denis, ma anche Sara e Mattia, Elisa e
Marco, Mattia e Nicolò, Gemma e Alberto. Ruotano le immagini che hanno segnato
la storia della lotta dell’Italia onesta contro la criminalità organizzata. Denis,
il sindaco undicenne dei ragazzi e delle ragazze, dà il benvenuto a nome di
tutti, sotto una leggera cresta nera. Dalle fotocopie di libri e articoli
giungono domande vive. Alcune ricorrenti in queste occasioni: si può
sconfiggere la mafia, come è nata la mafia, noi che cosa possiamo fare. Ma
anche altre più nuove: la mafia in Lombardia, come la riconosciamo, ci sono
persone di cui fidarsi. Al di là delle idee politiche che avranno, non saranno
cittadini bendati e pronti all’ammasso qualunquista. C’è una professoressa che
sembra la prima regista di questa impresa collettiva, Silvia si chiama. Non è
sola e si vede. Una scuola, molti insegnanti, un Comune. C’è proprio tutto quel
che sarebbe piaciuto all’avvocato morto di onestà. Giona, terza media, si
avvicina alla fine per sussurrare pudicamente all’orecchio il suo messaggio:
“Certe persone, anche se non ci sono più, rimangono vicine”.
Con orgoglio l’ospite viene portato nelle aule vuote per fargli ammirare le primizie tecnologiche. E però quel che più balza all’occhio ha un meraviglioso sapore di antico. Le classi sono tenute in ordine perfetto. I banchi sono colmi di libri, di astucci e di cartelle, tutti aperti come è aperta la porta delle aule. Nella certezza che nessuno toccherà niente. Ecco perché qui nessuno ha chiesto se bisogna denunciare i furti che si subiscono a scuola. Sembra un sogno. Dovrebbe venire qui, maresciallo Novembre. Nella Lombardia dalla morale sbrigativa che ha voltato le spalle al bimbo del “suo” avvocato, nascono nuove generazioni di cittadini. Lontane dalle urne, ma già educate al civismo per cui cadde l’eroe borghese.
Nando
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