Si chiama Falcone e combatte la camorra

 

Il Fatto Quotidiano, 7.4.13

All’epoca aveva sei mesi, Riccardo. Era un neonato quando
Marcello Torre, sindaco di Pagani, metà città metà paese in provincia di
Salerno, venne ucciso il mattino presto davanti casa. Era l’11 dicembre del
1980. Una data di morte e di nascita insieme. Perché è probabilmente allora,
con quell’omicidio, che nasce la camorra come impresa. Gonfi dei soldi
dell’eroina, i clan, quelli di Cutolo in testa, partivano all’assalto della
ricostruzione dopo il terremoto irpino di ottobre. Marcello Torre, sindaco
onesto, aveva cercato di opporsi. Il suo assassinio servì a chiudere per sempre
la partita con gli amministratori campani. Quei miliardi toccavano ai clan.
Pagani, terra di pedagogia sanguinaria, divenne il regno della paura. Reagì la
moglie, Lucia Torre, giovane e coraggiosa, che subito cercò di costruire
intorno alla figura del marito il decoro della memoria civile.
Ora accanto a lei e alla figlia Anna Maria c’è Riccardo Christian Falcone. La
barba rada, gli occhi buoni e curiosi, sulla fronte quelle che lui chiama
scherzosamente “le rughe dell’anticamorra”, Riccardo si è preso sulle spalle
l’incarico di non far dimenticare quel pezzo di storia. Dirige con passione il
premio dedicato al sindaco morto di onestà, istituito quasi due anni dopo il
delitto e ora passato sotto il patrocinio del presidente della Repubblica. “Ha
ragione, è stato assegnato a personaggi importanti, dalla Gabanelli a Dario Fo
a Michele Santoro. Ma mi creda, non c’è il vezzo di andarsi a cercare per forza
i divi televisivi per dare spettacolarità a quello che facciamo. Recentemente il
premio è andato a un gruppo di normali giornalisti, una decina in tutto, che
hanno scritto il libro ‘Il casalese’. Ci vogliono entusiasmo, contatti con le
scuole, scavo continuo nella memoria. Forse anche grazie a questo pochi anni fa
è giunto per Marcello Torre il riconoscimento massimo, la medaglia d’oro al
valor civile”.
Vero, la medaglia d’oro… Eppure, dopo più di trent’anni, la politica di Pagani
non sembra sia mai stata scossa da un vento purificatore. Riccardo lo racconta
con l’aria di chi vuole farsi carico anche in politica, mica solo con il
premio, di quanto accadde quand’ era in culla. “Vuol sapere che cos’è cambiato?
Semplice. Pensi solo che il comune di Pagani è stato sciolto nel marzo del 2012
per infiltrazione mafiosa. Un colpo duro per il potere di Alberico Gambino, l’ex
sindaco amico di Cosentino; anche se è uscito indenne dall’accusa di voto di
scambio mafioso (ma la Procura di Salerno è ricorsa in appello), è stato
condannato a due anni e dieci mesi per concussione e violenza privata. E ha
avuto gli arresti domiciliari per un anno e mezzo. Certo, era del Pdl, ma il
problema qui riguarda tutti i partiti; nemmeno il Pd si ammazza di fatica
contro la camorra. Per questo stiamo organizzando un gruppo di giovani che ha
voglia di passare dall’impegno sociale alla politica. E’ nato un nuovo
movimento civico, lo abbiamo chiamato ‘Impegno per la città’. Se ci presenteremo
alle elezioni comunali?”. Sorride Riccardo, mentre gli si arricciano le rughe
anticamorra. “Dipenderà dalla situazione, dalle liste che faranno gli altri. Ma
qualcuno deciso a battersi per i temi della legalità dovrà pure entrarci, in
Comune”.
Curiosa la pubblica vicenda di queste terre. Che sfornano a getto continuo
giovani generosi e pieni di passione ma non
riescono a rompere con la propria storia. Prendi in mano l’elenco delle cose
che fa Riccardo e resti a bocca aperta. Speaker, conduttore e redattore di
Quarto Canale, emittente paganese di un costruttore locale (“ma non ho mai
avuto condizionamenti di alcun tipo”), oltre quattrocento puntate in sette anni
della rubrica di inchiesta ‘Agoragro’. Collaboratore, quando serve, dei
progetti di formazione alla legalità e alla cittadinanza democratica del Centro
di documentazione regionale contro la camorra. Esperto o tutor di progetti
sulla legalità nelle scuole, da Nocera ad Amalfi, con tanti episodi stipati nel
suo zaino. “Le racconto il primo che mi viene in mente. Facevamo educazione con
bambini della quinta elementare. Giocavamo all’alfabeto della legalità, e a
ogni lettera doveva corrispondere un concetto positivo, tipo ‘a’ come amore.
Arrivò la ‘n’. Marika, che aveva nove o dieci anni, non disse, come ci
aspettavamo, ‘Napoli’ o, che so, ‘Natale’. Disse ‘noi’, e fu una folgorazione”.

 

E poteva mai mancare Libera, in cui Riccardo è tutor per la Campania del progetto ‘Libera il bene’? La sua è una storia breve ma frenetica di giornalismo , di promozione culturale, di agitazione sociale. Di costruzione di memoria, e dev’esserci un genio particolare in questo, visto che si è laureato alla Federico II in archeologia. Un’effervescenza che i suoi appunti a mano, ordinati ed eleganti come quelli di un amanuense, sembrano voler dissimulare.
Non dissimula nulla però quando ricorda un giovane ucciso a Pagani nel 2008, durante una rapina all’ufficio postale. Era il fidanzato di una sua cara amica. Marco Pittoni, si chiamava. Si era trovato lì per caso e poteva non intromettersi. Invece si qualificò, senza usare la pistola per non farci andare di mezzo gli innocenti. “Sono il capitano dei carabinieri”. Lo fulminarono subito. Riccardo sa ciò che il giovane ufficiale lasciò scritto alla madre in una lettera ritrovata dopo. Ne conosce tutte le parole, una per una, anche se proprio il ricordo gli impedisce di pronunciarle. Che cosa non può, la memoria.

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