Come vincere la battaglia dei cellulari in classe. La buona novella della preside di Avellino

 

Il Fatto Quotidiano, 14.4.13

Bisognava venire ad Avellino per trovare una preside
così… Ida Grella è una signora aitante e gentile, che sa essere al tempo stesso
sergente e generale e per questo tiene in pugno una scuola di millecinquecento
alunni, dai tre ai quattordici anni: il comprensivo “Luigi Perna-Dante
Alighieri”, prossimo “Rita Levi Montalcini”.
“Guardi, questa dei cellulari in classe è una vera battaglia di civiltà. E con i
ragazzi va vinta, anche contro le famiglie. Ma le pare che un insegnante possa
vedersi la ragazzina o il ragazzino con la testa bassa che continua a premere i
tasti, che si estrania dalla vita di una classe? Pensi che con le nuove
generazioni di cellulari si va su google e si copia che è un piacere,
soprattutto se l’insegnante non vuole trasformarsi in un cane da guardia. E
questo forse è il meno. Si riprende ciò che succede in classe e tutto diventa
fotografia, filmato. Anche ai danni dei più deboli. Ma lo sa che uso può essere
fatto di facebook per alimentare il bullismo, o per costruire le relazioni più
volgari e degradanti? Le ragazzine poi sono terribilmente più sveglie dei loro
coetanei maschi. Ci sono i modelli televisivi da imitare, e si mettono in
esposizione come se fossero maggiorenni …E allora che ho fatto, vuol sapere?
Semplice, ho vietato di portare il cellulare a scuola. I professori hanno la disposizione
di sequestrarli e di portarmeli, e poi i genitori devono venire da me a
riprenderseli. Il che già basta a scoraggiare l’uso. Davanti all’idea di
perdere tempo, il genitore fa cambiare le abitudini ai figli”. Anche perché poi
dalla preside non si va a piacimento. Fuori dall’ufficio campeggia l’avviso che
“il dirigente scolastico riceve soltanto per appuntamento”, e bisogna mettersi
ben in fila, tenendosi “a debita distanza” per il “rispetto della
riservatezza”, a norma “del codice in materia di protezione dei dati personali”,
con tanto di numero e data del relativo decreto legislativo.
Ida Grella sorride. Dà rigorosamente del lei alle sue professoresse, anche a
Elena Maffei, la sua vice, chiama per nome quasi tutti gli allievi, si
preoccupa costantemente che intoppi burocratici non nuocciano ai diritti dei
suoi ragazzi (“non è che può pagare il bambino perché il padre s’è scordato la
data di scadenza”). Ma la legge e la burocrazia le sa usare bene. “Qualcuno
protesta? E io gli faccio vedere la legge Fioroni, che vieta i telefonini a
scuola. Lo so che molti non la applicano, però bisogna avere il coraggio di
farlo. Anche se siamo nell’epoca dei genitori sindacalisti dei figli. E’ venuta
una madre, avvocato, e ha obiettato che può avere motivi di urgenza per
chiamare il figlio. E io ho risposto che la scuola ha un telefono e che in caso
di urgenza noi rispondiamo e siamo a disposizione”. E se occorre cercarlo dopo
la scuola? “Basta un cellulare normale, senza facebook e google. O no? Si tiene
chiuso in cartella e poi lo si accende. L’ho spiegato a un genitore mostrando
che esistono ancora i cellulari semplici. Gli ho tirato fuori il mio nokia e
quello mi ha guardato con stupore, con l’aria di chi ti compatisce, povera
preside…”. E’ agguerrita, la dirigente di questo istituto dove non si butta via
un euro (“mi creda, gli sprechi continuano”) e dove le attività fioriscono
lasciando colori immensi ovunque, e i segni escono dalle finestre, come il
vialetto dedicato a Giorgio Perlasca nel recinto stesso della scuola. “D’altronde
i ragazzi non potrebbero neanche iscriversi a facebook alla loro età. Se lo
fanno è perché dichiarano un’età falsa, ma questo rientra nella responsabilità
dell’esercizio della patria potestà”. Così ha mandato una circolare ai genitori:
“Ricordo a tutti che per l’iscrizione a Facebook bisogna dichiarare un’età
superiore a 16 anni ed inoltre solo dopo la maggiore età la gestione del
profilo Facebook è consentita senza la
vigilanza di un esercente la patria potestà . Risulta che ancora vi sono
spiacevoli episodi di
utilizzo di Facebook, dove vengono postate o taggate foto delle attività in
classe , e/o messaggi in cui si potrebbero profilare manifestazioni di cyber-bullismo
. Si invitano le S.V. a provvedere di conseguenza , al fine di evitare segnalazioni
alla polizia postale”. E, perché non tutto appaia  proibizione, mamme e papà sono invitati a un
incontro con esperti sulle “nuove dipendenze”.

 

La abbracceresti, una preside così. Che di colpo ti dà la buona novella: la peste culturale dilagante può essere fermata. Basta non acquattarsi nel quieto vivere e assumersi anche davanti alle famiglie le responsabilità dell’educatore. L’ascolto, la partecipazione, la vita di comunità (“ma ci crede che ci sono ragazzi che preferiscono starsene soli in casa su facebook invece che uscire con i propri compagni in carne e ossa?”). Ha messo in riga anche un pluripregiudicato che pretendeva che i rapporti con una insegnante passassero attraverso di lui, il suo compagno. Minacce, denunce, appostamenti, robe da stolker all’ennesima potenza, l’invito anche di qualche  superiore a chiudere un occhio, meglio lasciar perdere, quanto le manca alla pensione, perché non si fa trasferire, e lei tenace a chiedere (e ottenere) l’intervento della magistratura. Mostra la sua auto bianca, la carrozzeria devastata con una chiave per qualche ritorsione. Poi decanta la bellezza di Avellino, “così diversa da Napoli”. Ragazzi, come è più dignitosa la vita, quando si fa valere la legge.

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