Cinzia, l’autotrasportatrice con boccoli che mette alla porta i clan

 

Il Fatto Quotidiano, 21.4.13

Capricci delle parole. Uno dice “autotrasportatore” e rivede
“Il bestione” di Giancarlo Giannini, un maschio appanzato e nerboruto. Poi
invece incontra una signora giovane e carina in pantaloni a fiori e cascate di
boccoli e quasi non ci crede. Cinzia Franchini è addirittura un leader nazionale
degli autotrasportatori. E’ diventata presidente nazionale della Cna-Fita (Federazione
italiana trasportatori artigiani), bruciando le tappe ma soprattutto portando
il vento della white economy in un
settore dove non si guarda troppo per il sottile.
E’ un’altra anomalia di Modena. C’è Giovanni Tizian, il giornalista scomodo per
i clan ingordi di appalti emiliani. Ma  c’è
anche lei, già maestra elementare e studentessa di giurisprudenza, che scelse a
un certo punto di aiutare il marito nell’impresa di trasporti, si mise per
dieci anni alla guida di un Ducato trasportando fertilizzanti chimici e
anticrittogamici e alla fine decise di rappresentare la categoria. Tutto bene,
anzi un bel fiore all’occhiello questa presidente donna. Finché lo sguardo
gentile non tirò fuori la grinta e pronunciò un sonoro “non ci sto” davanti alla
celebre protesta dei “forconi”. Era il gennaio del 2012. “Quella protesta non
mi convinceva. Annusavo che non c’entravano nulla i problemi della categoria,
che i motivi erano altri e non mi piaceva affatto quello che intuivo. Un importante
imprenditore siciliano mi disse poi che tra i capi della rivolta, nell’isola,
c’era Vincenzo Ercolano, fratello dell’assassino di Giuseppe Fava e molti guai
con la giustizia in proprio. Si volevano paralizzare i trasporti per chissà che
fine. Così io schierai la mia federazione contro. E un giorno di aprile mi
arrivarono tre pallottole in una busta. Dirette a me e al mio segretario
provinciale. Più una lettera di minacce a Roma. Sinceramente non me
l’aspettavo. La realtà andava evidentemente oltre la mia immaginazione. Denunciammo
la cosa ma decidemmo di non parlarne in pubblico. Cercai solo di
tranquillizzare prima i miei genitori. Uscii in strada e la notizia era già sui
giornali. Scattò una grande solidarietà. Molti politici e colleghi e
associazioni. Almeno sul momento. Poi tutto è rifluito, ed è prevalso il
silenzio. Ma io continuo la mia battaglia per rendere trasparente questo
settore. Le ditte iscritte sono 103mila, e il tasso di infiltrazione è stimato al 7-8 per cento. Veda lei in
termini assoluti…Ma è un po’ il settore dei trasporti in generale che va
sottratto agli appetiti dei clan mafiosi. Pensi ai traffici di armi e droga, o
al riciclaggio, e mi dica che competizione può esserci”.
Esagerata? Lo potrebbe credere solo cappuccetto rosso, se è vero che un colosso
multinazionale come la TNT in Lombardia era finito nelle mani della
‘ndrangheta. “Io lavoro sodo per il bene di questa categoria. Ho trentamila
associati. E questo è un settore cruciale per l’economia del paese, con un
formidabile potere di contrattazione. Ho promosso anche un convegno intitolato
‘Perché tacere?’. La risposta? Che le
intimidazioni non sono finite. Qualche settimana fa è arrivato un altro
proiettile in busta. Stavolta al mio avvocato, come a farmi il vuoto intorno. E
d’altronde lo sa che quando è diventato pubblico il mio caso, io presidente
della Fita, non ho avuto una sola parola di solidarietà dalla Unatras, la federazione
generale dei trasporti a cui aderiamo e che raccoglie il novanta per cento
delle imprese del settore? E le pare che non significhi qualcosa? Il guaio è
che a dire che occorre far pulizia sono buoni in tanti, ma poi quando giunge il
momento di mandar fuori qualcuno si pensa ai clienti che si perdono, perché
tutto è business, tutto è soldi, e molti preferiscono far finta di non sapere. Noi
abbiamo deciso da che parte stare. E così, per esempio, anche alle riunioni
istituzionali mi rifiuto di partecipare alle trattative se c’è qualche faccia poco
onorevole seduta al nostro tavolo. Però ogni tanto ho pure delle belle
soddisfazioni. Per esempio quando qualche gruppo industriale mi chiede consigli
sulla affidabilità morale delle ditte, perché sa, qui non è che uno ha il
certificato penale pulito e tutto è a posto”.

 

Chi le sta vicino racconta delle maldicenze contro di lei: l’accusa di essere una rischiosa anomalia per la sua associazione quando, in realtà, sembrerebbe la migliore difesa dalle anomalie che deturpano l’immagine delle grandi associazioni, se solo si pensa alla vergogna che si è appena abbattuta sulla Confindustria di Monza e Brianza. “Ah, gliel’hanno raccontata?”. Si tormenta le dita, Cinzia. “Be’, c’è anche l’altra maldicenza, ed è una storia che mi ha toccato molto: che mi sia mandata io i proiettili per conquistare visibilità”. Questa “autotrasportatore”con i boccoli che scendono giù per le spalle fa pensare. Chissà un bel maschio tradizionale che cosa avrebbe fatto al suo posto. Se non avrebbe proclamato ai propri aderenti che i padroncini mica sono la polizia, che gli affari sono affari, che le associazioni devono essere accoglienti per tutti, che non si possono fare le analisi del sangue alle imprese che arrivano. Speriamo che Modena, dove un centinaio di professionisti ha appena chiuso un lungo ciclo di formazione sull’etica delle professioni, faccia onore alla sua storia. Che sostenga la battaglia di questa giovane donna senza scorta, che la aiuti là dove associazioni potenti e che tuonano ogni giorno sulla libertà di mercato non balbettano nemmeno.

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