Paolo Campana. Quando bisogna andare a Oxford per studiare la camorra


Il Fatto Quotidiano, 28.4.13

Lucio Battisti una notte a
Oxford. La massa di capelli ricci che si avvicina su un folletto amico davanti
al collegio di Nuffield evoca il cantautore amatissimo ma appartiene a un
giovane sociologo. Paolo Campana ha lo zaino in spalla e il sorriso della
felice accoglienza. Piemontese, ottimi studi a Torino, e’ all’estero dal 2007. E
a trentadue anni si è già fatto un nome nelle istituzioni di molti paesi. Parlando
di tipi come lui si rischia sempre la retorica dei cervelli in fuga. Meglio
ascoltarlo, la storia vale la pena.
“Sono di Asti, madre insegnante e padre nelle ferrovie. Ho scoperto la sociologia
durante la laurea triennale in scienze della comunicazione. Ho preso una laurea
magistrale con una tesi sulla narrazione del terrorismo sulla stampa internazionale.
Intanto lavoravo all’Osservatorio del nord-ovest di Luca Ricolfi, un maestro. Ho
fatto analisi elettorale e partecipato a un progetto di ricerca sulle missioni
suicide in Palestina, Israele e Libano. Come sono arrivato qui? Semplice. Un
giorno del 2007 mi arriva  una mail di
Federico Varese. Mi dice che ha visto la mia partecipazione al progetto sul terrorismo
e che ci sono dei fondi per un assistente di ricerca al Centre for Criminology
qui a Oxford. Sono arrivato a razzo, ho avuto un contratto per nove mesi,
intanto facevo il dottorato al dipartimento di scienze sociali a Torino. Finito
il contratto sono rimasto qui come ‘associate member’. E mi sono messo a
studiare la camorra. La camorra in Olanda e in Scozia, quella del clan La Torre
di Mondragone, provincia di Caserta, indipendente dai casalesi.”
E’ il suo primo passo, perché è con questa ricerca che Paolo Campana si fa
apprezzare dalla comunità scientifica. “Ho lavorato seguendo l’impostazione
della scuola oxfordiana. Rimboccarsi le maniche sui dati, sui dati veri,
nessuno spazio all’immaginazione in proprio. Ho analizzato circa duemila
conversazioni registrate dalle forze dell’ordine, mi interessava studiare sia
l’organizzazione interna del clan con le sue reti di relazioni e di contatti sia
le attività di cui si occupava maggiormente.” Lo studio di Paolo capovolge le
teorie sul riciclaggio e sugli affari finanziari come massima occupazione dei
gruppi criminali. “Ma che cosa! Bisogna leggerle, le registrazioni. Si occupano
soprattutto di protezione, l’intramontabile protezione. Questo è il loro vero core business. Protezione a Mondragone:
contro la concorrenza, per la risoluzione delle controversie, comprese quelle
di lavoro e i licenziamenti, protezione contro i furti, recupero crediti. Fino
al 2005-2006 i La Torre hanno operato soprattutto come regolatori dei mercati
illegali. Questo mi ha colpito”. Il viso di Paolo si illumina, gli occhi si fanno
ancora più vispi dietro gli occhiali rettangolari di tartaruga. Si accinge a
enunciare la sua scoperta: “Vedi, io distinguo tra chi governa i mercati
illegali e chi ci commercia, ed è su questo che ho fatto uno studio comparato
sui ventisette paesi dell’Unione Europea. Quando i clan giocano in casa in
genere svolgono la prima funzione, governano;  quando si spostano svolgono la seconda, per
questo è così importante il territorio”. Paolo ne ha scritto su una delle
riviste più prestigiose, l’ “European Journal of Criminology”. Parla dei suoi
scritti sempre come di “articoletti”, ma intanto uno gliel’hanno tradotto anche
su una rivista accademica cinese. Oggi, come research fellow dall’”Extralegal Governance Institute” diretto da
Varese al collegio di Nuffield, vuole dare il suo “contributo di conoscenza”
contro le mafie italiane. Lo chiamano ormai a collaborare diverse polizie. Ha
fatto formazione agli analisti dell’Aja, ha collaborato con la Bka, la
struttura antimafia della polizia tedesca, e con Europol. Sta spiegando, e l’ha
scritto anche su un rapporto per la Commissione europea, che non è necessario
introdurre il 416 bis in tutti i paesi europei, con le immaginabili resistenze
di un bel po’ di stati membri, ma che basta far funzionare bene il mandato di
arresto europeo. Ha fatto un rapporto di ricerca per il ministero degli interni
canadese. E’ stato chiamato a Utrecht tre settimane fa per parlare delle mafie
nei ventisette paesi dell’Unione. “Io dico che le politiche pubbliche di
contrasto devono partire dalla realtà, che le organizzazioni criminali fanno
cose diverse in posti diversi. Se mi manca l’Italia? Io mi sento europeo, mi
sento a casa nell’Unione, ci faccio quaranta voli all’anno. Mi piace viaggiare.
Amo il treno, qualche settimana fa ho fatto un viaggio di dodici ore da San Francisco
a Los Angeles, meraviglioso. Amo la bicicletta. In ogni caso: all’Italia cerco
di dare una mano sempre, con quello che so fare”.
 

Questa settimana andrà con Federico Varese a Hong Kong, a parlare degli affari della camorra con la Cina e della ‘ndrangheta in Australia. Di giovani cervelli costretti ad andare all’estero a studiare per cause universali, nella medicina come nella archeologia, ne avevo già incontrati. Ma questo è il primo giovane cervello  che conosco finito all’estero per combattere, da Oxford, le mafie italiane. Passando il suo tempo libero di single tra cinema e musei inglesi e il pub prediletto, dove qualche tempo fa ha portato anche un capitano dei carabinieri arrivato in visita dalla Calabria. Tanto con la cultura non si mangia. Con la camorra sì.

Leave a Reply

Next ArticleIl pettirosso e il ministro dell'agricoltura. E una borsa vuota...