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Enrico, il sindaco moralista con la passione (politica) della bicicletta
Il Fatto Quotidiano, 12.5.13
Bel tipo, l’Enrico. Alto, deciso, dinoccolato. Fosse nato in
Arizona avrebbe fatto lo sceriffo buono. Invece è di Settala, sud di Milano
verso Lodi, uno dei più grandi polmoni verdi della provincia. E quindi fa il
sindaco; buono, naturalmente. Schierato a difesa dell’ambiente (“noi siamo un
baluardo del Parco sud”), tifoso del traffico sostenibile e delle piste
ciclabili, ciclista per passione e per scelta politica. “Altro che auto blu dei
sindaci. Una bella bicicletta. Così fra l’altro vivi di più tra la gente, ti
vedono, ti chiamano, e tu stai a sentire. E poi vedi più da vicino i problemi.
Stamattina per esempio me ne sono andato in giro per osservare le condizioni
del nostro arredo urbano nella frazione di Caleppio, la più popolosa di
Settala, e per controllare lo stato dell’erba, l’altezza delle siepi”. Settala
ed Enrico Sozzi sono tutt’uno. “Già, ormai sono uno dei pochi indigeni, mio
padre faceva il contadino meccanico, guidava il trattore, mia madre ha fatto
per trent’anni l’operaia alla Galbani, reparto salumificio. E io, figlio unico,
ho lavorato come operatore meccanografico alla Siemens; anche da assessore e da
vicesindaco, usando le mie trenta ore di permesso mensili”.
Ha sessant’anni e sembra un ragazzo, questo Gianni Morandi della politica
locale. Fa l’amministratore dall’85, quando venne eletto consigliere comunale e
diventò subito assessore allo sport e alla cultura, per avere poi stabilmente
la delega al bilancio, perché Enrico è uno di quegli amministratori che sa fare
i conti e che non buttano via un euro. D’altronde, oltre a quella per l’ambiente,
ha la passione della legalità. Se ne accorsero tutti durante una memorabile
sfida calcistica giocata nella notte dei tempi. Una partita tra la Settalese e
lo Zelo Buon Persico. L’Enrico era il capitano della Settalese (“mi diedero la
fascia già a diciannove anni, dicevano che ero il più equilibrato”). La squadra
volava verso la vittoria decisiva per 2-0, quando gli avversari segnarono su
punizione a venti minuti dal termine. Solo che il pallone venne trovato fuori
campo. Niente gol. Finché, fra la costernazione dei dirigenti, l’Enrico andò
dall’arbitro a dirgli che il pallone era uscito da un buco della rete. Per
fortuna finì 2-1. Ancora oggi qualcuno ricorda quell’episodio quando sente il
sindaco scagliarsi contro ogni forma di indulgenza verso i corrotti o la
criminalità organizzata. “Dicono che i mafiosi mica ce l’hanno scritto in
fronte di esserlo. E invece io ricordo un’assemblea nazionale dell’Anci nel
1990 a Cagliari. Mi presentarono un
pezzo grosso di Buccinasco o Corsico e io dissi ‘ma quello è un mafioso’. E
almeno stando ai guai giudiziari di quel signore avevo ragione io. Altro che
far finta di niente”.
Oggi il suo rovello di sindaco è il patto di stabilità. “Ma le pare? Siamo tra
i 143 comuni più virtuosi d’Italia, abbiamo speso tutti i residui passivi,
abbiamo in banca 8 milioni e 700mila euro e non li possiamo spendere. Ma sa quel
che si potrebbe fare, il lavoro che si potrebbe mettere in circolo? Nei giorni
scorsi ho incontrato i bambini delle elementari e delle medie. Mi hanno chiesto
perché non si fa un parco giochi, perché l’erba è così alta. E io gli ho
spiegato l’assurdità. E sa che cosa mi ha detto alla fine un bambino? ‘Allora
vuol dire che il governo vuol male ai comuni’. Come spenderei quei soldi? Fosse
per me rifarei prima di tutto la scuola elementare, ormai è obsoleta, mentre le
due materne son più nuove, le abbiamo fatte noi senza chiedere un cent a
nessuno. Rimetterei a posto l’arredo urbano, dedicherei risorse alla
manutenzione del verde, visto che siamo uno dei comuni più estesi di Milano,
diciotto chilometri quadrati, pensi che Sesto San Giovanni sono undici. Mi fa
male vedere le cose in disordine. E comunque noti che riusciamo lo stesso ad
assicurare tutti i servizi essenziali ai più bisognosi. Anzi, abbiamo offerto
ai cittadini un servizio di assistenza fiscale gratuito per la dichiarazione
dei redditi. L’hanno usato circa 1300 persone”.
E’ un sindaco felice, l’Enrico, mentre va verso la fine del secondo mandato e sogna un bel viaggio con la sua Giusy: “Non voglio fare il primo della classe, però è bello vedere che le opere che fai migliorano la vita delle persone, mi piace il rapporto con i cittadini. Mi rispettano, sanno che possono fare affidamento sul mio senso di appartenenza. Questo è un paese di 7.500 abitanti e ci si rivolge al sindaco per tutto. Una volta segnavo su un quadernetto le richieste più strambe, poi ho smesso. Qualche esempio? Mah, quando mi hanno quasi sgridato perché il parroco non faceva cantare i bambini sull’altare. O quando mi hanno chiesto di intervenire su un signore per chiedergli di non farsi più la doccia all’una di notte: disturbava il ragazzo che abitava sotto e che al mattino presto doveva andare a scuola”.
Ha solo una spina nel cuore, il sindaco: il suo ex partito. “Sì, ero del Pci, mi sono iscritto a 22 anni. Da due o tre non prendo più la tessera. Non ci vedo più le idealità e i bisogni, troppe divisioni, non è quello in cui sono cresciuto. La vicenda delle elezioni del presidente della Repubblica mi ha amareggiato. Vede, ho pensato che ho messo la mia esistenza al servizio di questo partito, e mi sono sentito quasi tradito. Ma non mi ci faccia pensare. Vado a fare un giro in piazza. E’ meglio”.
Nando
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