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Trieste, memorie di confine custodite da una cuoca
Il Fatto Quotidiano, 19.5.13
Vai per le Indie e trovi l’America. Incontri il più
straordinario gruppo di studenti di giurisprudenza a Trieste e pensi “stavolta
scrivo di loro”. E invece proprio i ragazzi iniziano a parlare con entusiasmo
della Bernarda, della castellana che prepara per loro sontuose cene di
autofinanziamento in un agriturismo al confine con la Slovenia. E hanno
ragione. Si sale a colpi di curve per un po’ di chilometri, poi compare un
caseggiato a un piano, ricco di ali e di rientranze. Località Sagrado, detto
Zagradec, Milic azienda agricola. Bernarda non si vede. I ragazzi sono già
affollati intorno ai vini di casa. La taverna è rivestita in legno, è di legno anche
l’elica del ventilatore, foto belle e d’epoca, coppe di ogni foggia, una
vecchia macchina da cucire Singer, un piccolo triciclo di vimini, bottiglie di
vino schierate ovunque. E un foglio scritto al computer appiccicato a una
parete. E’ uno sperticato elogio di B., che lo leggi e ti chiedi che affinità
possa mai esserci tra i ragazzi e la proprietaria. Finché trovi un “nota bene”
vergato in fondo: “Se sei un sostenitore del centro-destra va bene così.
Altrimenti leggi una riga sì e una riga no”. Letto e fatto: spunta una
durissima, esilarante invettiva.
E non per caso. Qui c’è una storia densa. La racconta Bernarda mentre i tavoli
si riempiono di salami e ortaggi d’antipasto. Ha un grembiule blu e un eloquio
signorile, italiano elegante con accento sloveno. “Qui
siamo al confine, abbiamo alle spalle storie di tragedia. Questa è stata la
linea di scontro della prima guerra mondiale, c’è il più grande cimitero
austroungarico. Nelle famiglie morivano anche nove fratelli in guerra. Poi dall’8
settembre al maggio del ’45 c’è stato il terrore, i nazisti hanno lasciato
tracce terribili nella memoria. La povertà era tale che c’era chi vendeva gli
altri anche per mangiare. Accadde davvero che per una pagnotta da portare in famiglia
uno si fece delatore e mandò al massacro i suoi vicini che nascondevano i
partigiani. Ecco, noi la storia ce la studiamo, perché l’albero senza radici
non cresce. Così siamo una famiglia molto democratica”.
D’improvviso, mentre la ascolti, l’agriturismo diventa un’altra cosa. Luogo di
storia e di cultura. Certo, faranno salsicce succulente, dolci e frittelle
casalinghe e biscotti di semi di lino, alla faccia dell’ananas che ci ha
colonizzato, ma si respira soprattutto una cultura speciale. Quella, per
esempio, che permette alla castellana di abbattere drasticamente i prezzi per
le comitive che hanno un impegno sociale. Bernarda fa presto: niente camerieri,
gli ospiti che fanno la cena di autofinanziamento per una buona causa si
servono per i fatti loro i prodotti che escono dalla cucina, e infatti ecco che
gli studenti servono a turno al tavolo; e ti chiedi perché negli altri luoghi
d’Italia nessuno abbia tanta libertà mentale per pensare una cosa del genere.
Bernarda è una donna sui quaranta dagli occhi azzurri intensi, mamma di Agnese
e Lucija e nonna giovanissima. “Abbiamo dovuto lottare contro l’ignoranza, il
fratello di mio marito aveva il cancro a tredici anni, e lo nascondevano, lo si
taceva come si può fare con la peste o la mafia, se ne provava vergogna. Non mi
piace l’ignoranza, per questo sono diciotto anni che non vedo la televisione, e
non mi piace internet con la sua cultura dell’anonimato. Noi passiamo moltissimo
tempo a leggere libri e giornali. Questo agriturismo? Era dei genitori di Andrej,
mio marito. Sono qui da 27 anni, l’azienda si è ingrandita pian piano senza un
soldo di contributi pubblici, meglio così. Ci lavorano sei, sette persone,
oltre a noi. Sono quaranta ettari, quasi tutto bosco sotto tutela, pieni di
orti, con erbe strane. E carne nostra, galline e cavalli. Io faccio cucina
povera, cucina di confine, da pane e
vino, e uso la carne che tiene i prezzi bassi, stracotto e cotechino. E intanto
studio. Ho una serie di conferenze, anche sull’uso della canapa per fare il
pane , il latte, lo yoghurt; pure quella è roba da poveri. Faccio cose di pane
ma le cucino scegliendo bene ogni mattina le erbe con cui insaporirle”. E’
vero: il pranzo preparato agli studenti è un inno dionisiaco alle ortiche. “Ho
studiato antropologia, e psicologia, anche psicologia militare, delle
catastrofi naturali, in Slovenia a Nuova Gorizia. Mia figlia scienze
alimentari. Teniamo aperto dal venerdì alla domenica. Gli altri giorni solo per
gruppi da almeno venti persone. Che vuole, qui vengono soltanto gli intenditori,
perché siamo quasi nascosti al pubblico”.
“Sa qual è la cosa più bella di Bernarda?”, confida Marina, “Che ogni volta che le diciamo che verremo in gruppo e le facciamo il nome dell’ospite che porteremo, lei ci guarda fisso e ci dice che in Slovenia è molto famoso, che lo conoscono tutti. Secondo me non è sempre vero, ma lei ce lo dice così, per gratificarci nel lavoro che facciamo, per farci sentire la sua considerazione. E’ il suo pregio, sa fare stare bene tutti. Anche a questo deve la sua fama. Tra qualche settimana verranno qui per delle vacanze di work-experienceventi ragazzi svedesi”.
Il pranzo finisce, fuori diluvia. Uno studente si avvicina a Bernarda, chiede quanto le devono, intuisco che sotto voce ha fatto un prezzo da favola. Tutti escono felici dalla taverna di “Milic”. E’ la dimostrazione di una cosa che penso da tempo: chi ha una bella qualità della vita può renderla più bella anche agli altri. Quanto diavolo ci vuole a capirlo?
Nando
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