Palermo, 23 maggio. Appunti di viaggio

 

Sono stato a Palermo, all’aula bunker e poi all’albero
Falcone. Ho fatto il viaggio sulla nave della legalità, partendo da
Civitavecchia con una quarantina di miei studenti. Un’esperienza tesa, che cresce
con le ore. Bello vedere, anzi ri-vedere, al porto di Civitavecchia insegnanti
che hai incontrato negli anni, durante i tuoi giri per l’Italia, tutti lì a
convegno con le loro classi. Ragazzi che partono da Aosta o da Rovigo, che
attendono ore al porto prima di salpare; che poi si fanno una notte in nave,
magari con il mare a forza nove come nel nostro caso (tanto che mi era stato
detto a un certo punto che non saremmo partiti); che trascorrono una giornata
pienissima a Palermo, e ripartono la sera stessa ancora in nave e poi di nuovo
in treno o in pullman fino a casa. E che lavorano mesi per vincere il bando del
ministero dell’Istruzione che gli consenta di farsi, in premio, questa sfacchinata di tre giorni. Ma non è prodigioso
che tutto questo avvenga nel nome di Falcone e Borsellino, visto che le navi,
una che parte da Civitavecchia e l’altra  da Napoli, sono intitolate rispettivamente ai
due magistrati?  A me, anzi, è sembrato
che vi sia qualcosa di insuperabilmente misterioso, per quanto sia tutto programmato,
nell’ arrivo in simultanea delle due navi al porto di Palermo, con le centinaia
di ragazzini delle scuole siciliane che danno il benvenuto di Palermo con gesta
festose e palloncini. C’è un po’ di retorica, di spettacolo, come dice
Riccardo? Indubbiamente sì, specie in certi frangenti. Ma il rapporto
retorica-spontaneità è 25 a 75 per cento, che è un ottimo rapporto.
I miei studenti si sono fatti onore. Alcuni di loro, anzi, hanno guidato momenti
importanti. Vi vorrei descrivere tutto quello che ho visto, che ho provato.
Difficile raccontare il rientro nell’aula bunker, ventisette anni dopo quel 10
febbraio del 1986, giorno di pioggia: ci arrivai da solo, testimone scomodo,
senza nessuno a proteggermi, a piedi, ingresso per “imputati e parti civili”,
gli uni accanto agli altri; eccetto gli imputati che erano già in gabbia,
naturalmente. Difficile raccontare la gioia di vedere i lenzuoli bianchi che si
srotolano giù dai balconi al passaggio del corteo nel pomeriggio, insieme ai
tricolori. I ragazzi che scorgono un palazzo senza lenzuoli e allora iniziano a
ritmare “len-zuo-li, len-zuo-li”, finché qualcuno esce e li mette ai balconi
tra gli applausi che salgono dalla strada. Come sempre le cose bisogna vederle.
Ad esempio la massa impressionante di cittadini intorno all’albero più
simbolico dell’Italia antimafiosa.
Anche se non ho spazio e tempo per raccontare tutto ciò che sta nei miei
appunti e nella mia memoria, l’avrete capito: è stato un viaggio che vale più
di qualsiasi settimana all’estero tra gli italiani coi golfini eleganti che
girano a far shopping e cercano un caffè da Illy. Domani aggiungerò qualche
particolare. Ora vado a letto, devo alzarmi presto per andare ai funerali di
don Gallo. E anche di lui, di quel prete dolce e sanguigno, vi parlerò domani.
Ho avuto la notizia proprio al porto di Civitavecchia. “Prof, è morto don Gallo”.
Ho chiuso gli occhi e ho taciuto. Stavamo partendo.

 

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