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Un sabato da preti, tra Genova e Palermo
Il Fatto Quotidiano, 16.5.13
Un sabato, due città di mare, due preti. Uno partigiano,
l’altro antimafioso. Uno amatissimo dai giovani, l’altro dai bambini. Il
secondo beatificato dalla chiesa, il primo beatificato sul campo dal suo popolo,
in gran parte laico. Ci sono coincidenze che fanno sentire addosso il respiro
profondo della storia. Era lei, la storia, a spingere la folla immensa che ha
salutato e accompagnato don Gallo, dalla comunità di San Benedetto alla
parrocchia del Carmine. La storia di un prete quarantenne che cerca la chiesa del suo tempo negli anni della
contestazione, e poi la lotta impari contro la droga, e le violenze del G8, e
l’accoglienza ai migranti, e la storia senza data degli ultimi che chiedono una
porta socchiusa da sospingere. Mai viste a un funerale tante creature così
segnate, anche fisicamente, dalle loro sofferenze. Incapaci di trattenere il
pianto della nostalgia e della gratitudine. Quasi sfilasse un mondo di fragili
a salutare la propria scialuppa terrena. Uno per tutti: ormai ingrigito, i
tratti segnati, veglia la bara quasi assopito su una sedia, pare un estraneo,
ma d’improvviso apre occhi e bocca quando viene recitato l’eterno riposo per
don Andrea. Si riassopisce e di nuovo scatta infuriato quando i telefonini
iniziano a violare, per amore, la solennità del momento. E smettetela con
queste cazzo di foto.
C’era la storia del fratello comandante partigiano in quel “bella ciao” intonato
in chiesa sottovoce e poi cantato senza timore prima di andare per strada verso
l’ultima funzione. Che ha fatto scattare in piedi il ragazzo rasta con cane al
guinzaglio e alla fine ha contagiato tutti i preti sull’altare, nessuno ha
resistito a battere le mani a tempo, come si sentisse l’eco lontana della
Genova che costrinse alla resa, unica città d’Italia, le truppe d’occupazione
nazista. Mentre era più vicina l’eco di quell’ “Hasta siempre comandante Gallo,
proseguiamo in direzione ostinata e contraria” portato da un gruppo di ventenni,
pronti a inchinarsi all’ autorità morale di chi ne ascoltava le rabbie e le
inquietudini, anche quando venivano espresse oltrepassando i confini della
legge.
E una storia grande, un’altra storia di liberazione partigiana, un’altra storia
di Resistenza, ha portato nella stessa mattinata centomila persone a rendere
onore a un altro prete nell’altra città di mare, la Palermo insanguinata dalla
mafia. Si chiamava Pino Puglisi, e faceva il parroco schierando le parole del
vangelo contro la cultura e la legge dei Graviano, luogotenenti dei corleonesi nel
quartiere di Brancaccio. Anche lui eretico di fronte a una chiesa che per
troppo tempo aveva negato (e abbracciato) la mafia, e che solo da dieci anni
aveva fatto una scelta di campo, prima con la celebre omelia del cardinale
Pappalardo, poi con il discorso della valle dei Templi di papa Vojtyla. Meno
eretico dunque di don Gallo davanti alla gerarchia ecclesiastica, ma ancora più
eretico, per necessità, davanti al sistema di potere, quello della violenza assassina
dei clan. E che con la sua eresia aveva sfatato i luoghi comuni delle
autorità -i preti facciano i preti, la
lotta alla mafia è un affare delle forze dell’ordine e dei magistrati- ma anche
quelli della sinistra “anticapitalista” -sai che paura gli fanno ai mafiosi le
prediche nelle scuole-. Aveva dimostrato che proprio chi fa le prediche per
antonomasia, il parroco, il prete, può fare invece paura alla mafia fino alla condanna
a morte. Centomila persone per don Pino. Solo due giorni dopo le decine di
migliaia di giovani scesi in strada per l’anniversario di Giovanni Falcone,
sono un’immensità, un vero fiume di storia.
Un sabato, due preti. Anche se ce n’è stato un terzo, don Luigi Ciotti, che ha
tenuto tutto insieme. Evitando che l’amore per “il Gallo” e la coscienza
diffusa delle umiliazioni a cui fu costretto si riversassero come schiuma
bollente contro la gerarchia e la dottrina cattolica, rappresentate sull’altare
dal cardinale Bagnasco. E parlando di mafia e droga. La droga con le sue
turpitudini combattuta da don Gallo. La mafia con le sue turpitudini combattuta
da padre Puglisi. Don Ciotti che nel luglio del 2010 celebrò proprio con don Gallo nel quartiere della Maddalena
una “messa dei diritti” in cui vollero comunicarsi, come in un miracolo di
fede, centinaia di fedeli. Don Ciotti sbarcato a Palermo giovedì mattina con la
nave della legalità partita la sera prima da Napoli, carica di studenti in
festa. Andato a Corleone e poi a concelebrare la messa per Giovanni Falcone,
dopo il raduno intorno all’albero più simbolico che abbia oggi l’Italia civile,
tabernacolo di questa religione laica cresciuta intorno agli eroi
dell’antimafia, che ci ostiniamo a dire che fecero solo il loro dovere e che
invece fecero molto di più.
Già, Falcone. Difficile non tornare con il pensiero all’aula bunker, dove giovedì mattina i ragazzini hanno commosso cantando insieme “Pensa”, diventato con “I cento passi” l’inno dell’antimafia delle nuovissime generazioni. E dove il 10 febbraio del1986 iniziò un maxiprocesso che avrebbe sovvertito il principio ultrasecolare dell’impunità mafiosa. Istruito da due giudici -ricordiamolo sempre, quando li celebriamo- costretti ad andare a scrivere la loro ordinanza di rinvio a giudizio nell’isola dell’Asinara e a cui lo Stato presentò poi il conto della trasferta, imparassero così a fare i turisti a sbafo. Porta lontano, la storia. Metti insieme un funerale, una beatificazione, un anniversario, e scopri quanto è ricca e popolata. E quanto è profonda, più del mare.
Nando
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