L’imprenditrice abbandonata dallo Stato. Ecco come vincono i clan

 

Il Fatto Quotidiano, 2.6.13

Questa è una di quelle classiche storie in cui lo Stato
dovrebbe entrare a piedi uniti. Per dare l’esempio. Per ristabilire le
distanze. La protagonista è una giovane signora dell’hinterland milanese.
Mentre la storia gira tra Buccinasco, Cesano Boscone e Pogliano Milanese.
All’origine c’è un imprenditore dell’edilizia che conosce il suo mestiere, che
ha fatto fortuna e che per questo entra nelle mire dei clan di Buccinasco. I
primi danneggiamenti ai camion li subisce nel 1981. Poi tra incendi, ordigni
esplosivi, devastazioni, arriva a contarne nel corso degli anni quasi quaranta.
Ma tra un attentato e l’altro inizia a fare affari con i boss, specie quelli
del clan Papalia-Barbaro. Li teme, li soffre, ma ci fa affari. Perché non
sapevo a chi rivolgermi, dice lui. I magistrati trovano nelle intercettazioni
colloqui amichevoli e di intesa proprio con gli estorsori. Per tenerli buoni,
che altro dovevo fare?, replica sempre lui, Maurizio Luraghi. I giudici lo
condannano per associazione mafiosa. In qualche modo è un segnale anche per gli
imprenditori reticenti o per chi pensa che colludere con i clan serva a
prendere appalti più facilmente. Non possono avere paura solo della ‘ndrangheta,
sembra il ragionamento dei giudici. Devono temere anche le sanzioni dello
Stato. Materia complicata, tanto che il processo è tornato in appello, per
rinvio a Milano dalla Cassazione.
Ebbene, la protagonista della storia è la figlia Barbara, una signora dai
capelli ramati e che ancora oggi sgrana gli occhi di stupore al pensiero di
quel che ha visto.  Barbara ha fatto da
segretaria nell’impresa paterna ma nel 2007 si è messa in proprio, una nuova impresa
edile con sede a Pogliano Milanese. Aiutata dal padre che le gira clienti
rigorosamente puliti; perché dei clan e del loro fiato sul collo lei proprio
non ne vuole sapere. Così quando l’emissario dei Barbaro si presenta da lei e
dal geometra dicendo che deve fare lavorare i loro “uomini e mezzi”, la
risposta è tagliente: “voi per me siete persone che non esistono più”. Chiarezza
per chiarezza, iniziano gli attentati. Due bombe confezionate artigianalmente esplodono
sui cantieri di Cesano Boscone, un attentato al magazzino di Pogliano, una a Barbaiana
di Lainate. Più un altro alla concessionaria Fiat dove si stanno facendo i
lavori di ampliamento senza i calabresi. Danni materiali enormi, “tra un
milione e un milione e mezzo”. Eppure Barbara resiste. A ogni escavatrice che
salta o a ogni impianto danneggiato, tira avanti. Arriva anche a prendere a
nolo le escavatrici e a riportarle al chiuso ogni sera. Riceve le classiche
telefonate notturne di disturbo, che nessuno si incaricherà di spiegarle da
dove vengano. Le minacce fioccano esplicite quando il padre esce dal carcere, o
in vista delle sue testimonianze in aula. “Una mattina d’autunno del 2008 porto
i bambini a scuola e quando torno all’auto trovo sul parabrezza un messaggio
scritto al computer: ‘Stai attenta, sappiamo cosa fai’. Evidentemente mi
seguivano, e non solo in certi orari. Me ne sono convinta una volta che mi sono
fermata per caso all’Esselunga di Rho, per una spesa non programmata.
All’uscita di nuovo un messaggio intimidatorio sotto il tergicristalli. Un
giorno ne ho trovato addirittura uno sul balcone della cucina, al piano
rialzato, stavolta scritto a mano: ‘Stai attenta, non fare come tuo padre’,
perché mio padre aveva iniziato a raccontare qualcosa ai magistrati”. Finché
arrivano addirittura i lenzuoli. Uno grande steso davanti al municipio di
Pogliano: “Luraghi Barbara paga i tuoi debiti”. Già, cognome e nome, come negli
atti processuali. Ci sono le telecamere ma non riprendono nessuno, lei almeno non
riesce a sapere. Poi stesso lenzuolo sul ponte della circonvallazione. Poi
davanti alla scuola dei figli. Barbara denuncia sempre: ai carabinieri, alla
guardia di finanza, ai magistrati. Nel 2010 inizia l’iter per ottenere i
risarcimenti previsti dalla legge per le vittime di estorsione. E’ ammessa al
programma ma non arriva un euro. L’anno dopo ottiene il rinnovo dell’accesso ai
risarcimenti ma ancora niente soldi. Può almeno tenere buoni i creditori.
Finché cambia la legge, la prefettura non la avverte delle nuove procedure e
così la richiesta dell’ennesimo rinnovo arriva fuori tempo massimo. Inutilmente
la Dda milanese invita per iscritto i giudici della sezione fallimentare a
tenere conto della sua posizione. Nel maggio del 2012 la “L.S. Strade srl”
chiude per fallimento. Barbara Luraghi vittima di bombe e di minacce e che ha
rotto con le pesanti ambiguità ambientali è stata costretta a chiudere, di qua
la morsa dei clan, di là l’indifferenza dello Stato. La sua casa è all’asta. I
conti correnti bloccati, come una delinquente. Vive delle lezioni di ballo del
padre, passato dal movimento terra al tango argentino.
 

Hai voglia a dire legalità. L’imprenditrice che non si è fatta intimidire ha dovuto gettare la spugna davanti a tutti. Ecco che cosa capita a non mettersi d’accordo… E invece che schiaffo sarebbe per i clan del sudovest milanese se lo Stato applicasse le proprie leggi e la aiutasse a realizzare il suo progetto. “Edilizia? No, basta. Io quei signori non li voglio incontrare mai più. Vorrei metter su una ludoteca. Già, i soldi pubblici che mi avevano promesso vorrei dedicarli ai bambini, a farli giocare anche il sabato, fino alla sera. Dopo l’incubo, è questo il mio sogno”.

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