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Salvatore e suo padre, l’appuntato Bommarito
Il Fatto Quotidiano, 16.6.13
Gli occhi di Salvatore si perdono verso il mare. Indietro
nel tempo. E sembrano riavvolgere una pellicola di trent’anni fa come in un
film di Tornatore. Le strade che salgono gemelle verso la grande piazza del
duomo sono il cuore di Balestrate, seimila abitanti a ovest di Palermo. Quella
dopo via Guglielmo Marconi è intitolata a Giuseppe Bommarito. La riconosci subito
da lontano per la grande macchia di colori: un murale sotto una grande targa.
Giuseppe Bommarito era il padre di Salvatore. Faceva l’appuntato dei
carabinieri. Venne ucciso dalla mafia dei corleonesi trent’anni fa, il 13
giugno del 1983 in via Skobar a Palermo all’imbrunire. Una scena di cui allora
le cronache palermitane abbondavano. Il giovane capitano Mario D’Aleo,
comandante della compagnia di Monreale, che rientra a casa. I sicari che
sbucano d’improvviso e sparano all’impazzata contro di lui e contro i due
carabinieri che lo accompagnano: Pietro Morici e Giuseppe Bommarito.
L’appuntato ha trentanove anni e due figli, Salvatore di nove anni e Vincenzo di sette. La sua è la più classica
storia dei carabinieri e poliziotti di allora. Figlio di un contadino con il culto
dell’onestà, quinto di sette figli, scuola dell’obbligo e poi manovale a
Torino. Infine la domanda nell’Arma.
Sul posto del massacro compare un cartello anonimo. Una mano sgrammaticata ma
di sapienza antica ha scritto: “Fate pagare questa strage chi a assolto i tre
mafiosi assassini. Un cittadino”. Già, sono storie dimenticate. Come quella
evocata nel cartello, che è poi la storia del capitano Emanuele Basile. Il
quale era il comandante dei carabinieri di Monreale che aveva preceduto D’Aleo.
Era stato assassinato per la strada durante una festa mentre portava in braccio
la figlia di tre anni. Vennero imputati per quel delitto tre mafiosi. Che al
processo presentarono il seguente alibi: eravamo a convegno con delle signore.
E i nomi? Non li possiamo fare per non disonorarle. Salvatore Curti Giardina
(perché anche questi nomi meritano la storia) presiedeva la corte che li assolse. Dando ai clan
inebriati di sangue e narcodollari la certezza dell’impunità. Si poteva ben
uccidere anche D’Aleo.
Gli occhi di Salvatore si perdono verso il mare. Li proteggono occhiali ovali,
su una barba elegante. Trent’anni fa non piansero. E nemmeno negli anni
successivi. Non ne uscì una lacrima. Gli altri piangevano, lui roteava gli
occhi, li ingrandiva, le vene gli si dilatavano nel collo per la disperazione ma
non piangeva. Lo aveva promesso a suo padre un paio di giorni prima. Il bimbo
era rientrato a casa a Balestrate e in giardino aveva fatto una dolorosa
scoperta: il cardellino non era più nel suo nido. Era scoppiato a piangere. Il
padre allora gli aveva preso il volto tra le mani e gli aveva chiesto con forza:
“Mi raccomando Giuseppe, qualunque cosa succeda tu non devi piangere, capito?,
non devi piangere”. Se l’aspettava, Bommarito; aveva appena raddoppiato la
polizza per l’assicurazione in caso di morte. E il bambino mantenne per decenni
la promessa fatta al padre. Finché trovò la forza di raccontarla e poté cedere
finalmente al peso della memoria.
Nel frattempo però proprio la memoria del padre sembrava affievolirsi nella
gente di Sicilia. Perché hai voglia a dire che i morti sono tutti uguali. Un
appuntato dei carabinieri resta senza nome. Salvatore e Vincenzo beneficiarono
della legge regionale e vennero assunti alla Regione Sicilia. Ma alle sparute
commemorazioni le autorità si presentavano sempre con le stesse parole: nemmeno
un guizzo di sentimento, il tono meccanico delle occasioni retoriche. Finché
qualcuno a Balestrate ha iniziato a chiedersi perché non si dovesse ricordare
il proprio concittadino. E sono incominciate le manifestazioni, il
coinvolgimento delle scuole, con brave insegnanti e famiglie disposte a
partecipare con i figli. Mai come quest’anno, però. Quando il duomo di
Sant’Anna si è riempito all’inverosimile nell’orario assurdo delle quattro del
pomeriggio. Salvatore si è girato dall’altare, con Vincenzo e con la madre
Mimma, e ha visto quella folla immensa, i bambini tutti in maglietta bianca
venuti a grandi gruppi nonostante la fine della scuola. Ha percorso in
processione le strade che costeggiano il mare, con quell’azzurro che sembra
salire dal fondo delle discese verso il cielo. Ha sentito il sole della sua Sicilia
farsi finalmente compagno di strada. Ha visto e sentito un bimbo delle
elementari andare sul palco e denunciare in poesia la mafia: “Vuole sfidarci?
Si faccia avanti/ noi siamo piccoli ma siamo in tanti”.
“E’ incredibile”, dice, “più passa il tempo più gente viene a queste manifestazioni”. Sorride malinconico, per dire che a ogni anniversario qualcosa gli prende comunque le viscere e non può farci niente. Gli occhi rivanno verso il mare. Che è giù. In mezzo, sulla piazza, la mamma, il fratello, la zia Francesca, una moltitudine di parenti che nei decenni si sono fatti forza uno con l’altro. A pochi passi, la moglie alta ed elegante come lui, e i tre figli. Tutti adottati. Ne voleva una, veniva dall’Ucraina in paese negli anni del dopo Chernobyl. Gli han detto che aveva una sorellina e un fratellino in altri due istituti, così lui e la moglie non hanno avuto dubbi: tutti e tre a Balestrate. Ora se li guarda in mezzo alla Sicilia che vuole cancellare il sangue e la paura. Partecipi e compunti mentre ricordano il nonno, l’appuntato dei carabinieri Giuseppe Bommarito, medaglia d’oro alla memoria.
Nando
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