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I miracoli di Prandelli e le lacrime (invisibili) di Miccoli. E la foto di Luca Tarantelli
Sento
dire che Prandelli sarebbe un bravo perdente. No, fa i miracoli il pover’uomo.
La Spagna poteva schiantarci. Ha fallito quattro-cinque occasioni da gol che
l’anno scorso non avrebbe fallito. E a quest’ora saremmo ancora lì a piangere
sulle differenze, sul vivaio spagnolo e sulla nostra smania di prendere brocchi
all’estero per la gioia di dirigenti furbi e mediatori d’ogni risma. Prandelli
ha estratto il sangue dalle rape, che più di tanto non possono darne. Tiri via
Balotelli e davanti non resta più niente. Ha una difesa mille miglia lontana da
quella dei mondiali del 2006 e che è forse la migliore possibile. Insomma, gli
sia resa lode per tenere comunque l’Italia su standard onorevoli.
Non so invece se si debba render lode a chi ha portato Miccoli davanti ai
microfoni per quella scena melensa e indecorosa in cui ha affettato lacrime di
pentimento per quel che ha detto di Falcone. Forse era giusto mandarlo a
chiedere scusa e a dire che si vergognava delle parole infami. Ma l’effetto è
stato offensivo. Uno che tratta con i mafiosi per riavere i suoi crediti, uno
che parla con loro in quel modo di un giudice fatto a pezzi da Cosa nostra, non
piange in continuazione, anche perché io ho visto la scena e le lacrime proprio
non riuscivo a scoprirle. Chiede di essere aiutato da qualche associazione
antimafia. Ecco, spero che non lo faccia Libera. A meno che non dica
pubblicamente “sono un pezzo di…” e se ne vada a Scampia o allo Zen a insegnare
calcio gratis ai ragazzini emarginati e predichi loro che la mafia è ciò che
diceva Peppino Impastato: una montagna di… Cento volte meglio questo del
pianto.
A proposito di rifiuto della violenza, vi consiglio “Il sogno che uccise mio
padre” (Rizzoli). Scritto da Luca Tarantelli, figlio di Ezio Tarantelli,
l’economista riformista ucciso dalle Brigate rosse nell’85. Continua la bella e
difficile storia dei figli rimasti senza padre da piccoli e che ne vanno alla
ricerca. Di Luca ho un’immagine nitida del 1990. Davanti a Montecitorio un
giorno di sabato, quattrocento familiari di vittime di stragi, di mafia,
camorra, terrorismo. Tutti insieme da tutta Italia a chiedere giustizia. Con le
foto dei nostri cari appese al petto, come la madri di Plaza de Mayo. Non
sapevamo allora che i parlamentari se ne andavano il giovedì. Vennero in sei
deputati (tutti della sinistra) a riceverci; Cossiga andò invece, quasi un
segno di sfregio, alla camera ardente del generale Vito Miceli, che nelle
stragi era stato coinvolto. Ero in prima fila, a un certo punto mi voltai e
vidi Luca che teneva protesa verso l’alto, senza dire una parola, senza
guardare nessuno, la foto di suo padre. Fissa, senza muoverla mai. Aveva
tredici anni. Storie dimenticate nel paese che ha le giornate dedicate alla
memoria.
Anche per questo vado volentieri all’assemblea di Libera a Senigallia, con la
tradizionale asta a favore delle cooperative che lavorano sui beni confiscati.
Buona giornata a tutti.
Nando
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