Turturici, pittore felice che non vende un quadro

 

Il Fatto Quotidiano, 7.7.13

Lo direste uscito da un racconto di Camilleri. L’accento
siciliano che ogni tanto libera le pepite linguistiche della sua terra, la
saggezza soave dell’intellettuale contemplativo, un genio artistico condito di
sensualità e d’ironia. Dino Turturici è una strana creatura arrivata ai
settanta passando per più vite. Oggi che i baffi sono più folti dei capelli, di
vite ne intreccia due. Giudice e pittore. Giudice di pace all’ufficio di via
Sforza di Milano, dove si occupa di cause civili. Risarcimento danni per
incidenti d’auto, multe, liti civili fino a 5mila euro, talvolta anche reati
penali di lieve entità, tipo minacce e lesioni. Il confronto quotidiano con
un’umanità variopinta. E insieme la contemplazione, in un’ arte coltivata sin
da piccolo: pittore. “Di quadri”, dicono a Palermo per distinguerlo dal
“pittore di muri”, ovvero l’imbianchino. “Mi è sempre piaciuto pasticciare con
chine e inchiostri. Da bambino avevo una vera ammirazione per i disegnatori,
non parliamo poi degli illustratori dei fumetti per ragazzi, mi piaceva come
rendevano il movimento delle figure umane. Da giovane avevo comprato un torchio
con degli amici per cimentarmi con le incisioni e andavamo anche in giro a fare
mostre. Ma alla fine aveva preso il sopravvento la mia prima vita, quella di funzionario
pubblico, iniziata dopo la laurea in giurisprudenza”, laurea presa a Palermo,
la città dov’è nato e dov’è nata anche la moglie Maria Luisa, insegnante
d’inglese sposata nel ‘70.
“Andai al provveditorato agli studi a Enna. Ci rimasi dal ’65 fino all’80. Una
città piccola e tranquilla, trentamila abitanti, dove però arrivava lo stesso
l’aria dei tempi. Non nascosi la mia simpatia per i referendum radicali. Così quando ebbi la promozione a
viceprovveditore e venni trasferito a Milano, non se ne dispiacque nessuno.
Come fu l’arrivo a Milano?”. L’ironia del giudice pittore esplode in una
immagine da fumetto: “Fu come essere paracadutato senza salvagente in un
oceano. Poi io e Maria Luisa ci abbiamo preso gusto. Milano aveva il fascino di
una donna di classe, ne percepivi gradualmente l’eleganza. Al provveditorato
seguivo il personale di ruolo, poi mi occupai anche del reclutamento dei supplenti,
gli attuali precari. Ma colsi al volo l’occasione per tornare alla mia grande
passione. Mi iscrissi ai corsi serali liberi di Brera, si chiamava la Scuola
degli artefici, una specie di alfabetizzazione artistica per gli artigiani.
Quattro anni a imparare, mentre di giorno mi occupavo di pensioni, di scatti di
carriera e di ricorsi, misurando palmo palmo un intero universo di
inefficienze”.
Il genio d’ironia e di sensualità dovette starci stretto fra scartoffie e
conteggi. Così a 48 anni se ne andò. “Allora si poteva”, spiega sottovoce, “mi
rimisi a dipingere, anche se io mi considero soprattutto un disegnatore, mi
piace il chiaroscuro con la matita, il colore mi ha sempre intimidito. Vissi
con partecipazione la vicenda civile della Milano di quegli anni ma senza mai
iscrivermi a un partito, per me la scelta politica è soprattutto un sentimento”.
Poi la scelta artistica che rimanda alle atmosfere di Camilleri, “mi iscrissi
alla scuola di nudo, sempre a Brera, altri quattro anni”. E da lì una produzione
abbondante, con punte felicissime, stipata nel suo studio dalle parti di parco
Lambro. Donne distese, donne in piedi, in abbandono, in movimento.
Ma poteva bastare? Il fatto è che Dino Turturici, viaggiatore e fotografo, ha innato
il senso dello Stato, grande come ce l’hanno solo i siciliani che credono nello
Stato. La sua vita nelle istituzioni, scomparsa tra le schede del personale
scolastico, riapparve nel ’95 nell’ amministrazione della giustizia. “Venne
istituita la figura del giudice di pace. La chiamata fu aperta a chi avesse una
laurea in giurisprudenza e non fosse impegnato in amministrazioni pubbliche o
private. Risposi subito. E’ una bella sfida con se stessi in nome dell’interesse
collettivo. Ho conquistato un equilibrio che non avevo da giovane. E mi sono
riconciliato con la mia laurea in legge”.

 

Sono tornate le vite parallele. “Certo, nel tempo libero lavoro sempre alla mia passione, le incisioni. Ormai l’associazione degli incisori siciliani mi mette di diritto nelle mostre collettive. E ho partecipato a decine di mostre personali o collettive in tante città, da Milano ad Ankara”. Ne farà una di grafica con tre colleghi (Oltre il segno) anche la prossima settimana a Palermo. “Vuol sapere se vendo i miei quadri?”. Qui la saggezza intinta d’ironia del giudice pittore sfiora la  grandezza: “No, non ho mercato, assolutamente”, ride sornione come parlasse d’altri, gli occhiali rossi e la giacca a quadretti minutissimi, “ogni tanto comprano qualcosa gli amici. Faccio le mostre perché mi piace”. Non dice “non sono capito, sono scomodo, non ho protettori politici”. Dice “non ho mercato”. Nei tempi delle crisi competitive, delle frustrazioni da insuccesso e del millantato credito, il giudice pittore è davvero una strana figura. Dategli un posto in un racconto di Camilleri.

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