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Sapessi com’è difficile camminare a Milano…E com’era grande Borsellino…
Sos, a Milano si cammina sempre peggio. Ho provato a capire perché una normale camminata stia diventando un percorso di guerra, cambiando il nostro rapporto con lo spazio. E ho messo in fila sul mio taccuino mentale alcuni colpevoli. Il primo è il trolley. La gente lo porta a spasso tenendolo basso e quindi lungo, triplicando lo spazio occupato da una persona. Infischiandosi delle conseguenze. Mettete due con i trolley e sono sei spazi invece di due. Tre e sono nove. Si cumulano facendo barriera in stazione ma anche in certe fermate della metropolitana; e se siete dietro e dovete passare dall’altra parte siete costretti a corsette o acrobazie o contorsioni vere e proprie. Poi c’è il cellulare, in tutte le sue forme. La gente cammina, scende perfino i gradini del tram, con l’occhio piantato verso un display, spedendo o leggendo messaggi e allora per non cadere si ferma e tutti dietro sono costretti a fermarsi o a ondeggiare. Poi c’è la macchina fotografica, anche lei in tutte le sue forme, a partire dal cellulare. Cammini in piazza e finisci regolarmente in mezzo a due che si stanno fotografando e allora ti abbassi repentinamente, chiedendo pure scusa. Passi accanto al Duomo e rovini la foto a turbe di giapponesi, è tutto uno stop and go, foto o non foto? Che fatica, gente mia…
Non faccio fatica invece a ricordare Paolo Borsellino, così come mi ha chiesto una cara signora mia allieva. Desidera un ricordo, in questo nuovo anniversario della strage di via D’Amelio (la Scuola Caponnetto dà appuntamento a tutti a Milano all’Umanitaria, a partire dalle 18). Il fatto è che io ho più volte ricordato quel giudice “dai baffetti gentili”: segnalo le pagine che gli ho dedicato in “Storie eretiche di cittadini per bene”, Einaudi. Qui mi piace rivedere quel soave imbarazzo di fronte ai termini inglesi, lui che apparteneva a una generazione che aveva studiato il francese. Rivedere quella sua timidezza quando, invitato all’estero per una trasmissione televisiva, chiedeva di potere fare una passeggiata con la signora Agnese, piccola e minuta e gentile come lui. Per lui era il più grande regalo: con lei senza la scorta, magari su un lungolago. Mi piace notare che la mafia ha avuto una paura fottuta di un magistrato, appunto, timido e gentile, mentre si fa un baffo di certi imbonitori tonanti e vocianti che pensano (soprattutto in pianura padana) di potere sostituire il coraggio e il fegato con i decibel delle urla insultanti. Paolo Borsellino: e gli scherzi con Giovanni Falcone, e i bicchieri di vino in cui, chiacchierando a tavola, trovavano la ragione di una speranza in più. E naturalmente loro due che vanno all’Asinara come due latitanti a scrivere la sentenza di rinvio a giudizio del maxiprocesso. Così li ricorderanno i miei allievi tra qualche giorno, quando inizierà il nostro progetto di formazione-vacanza proprio in quell’isola. E perché nessuno caschi nella retorica: non dimentichiamo Borsellino su cui al Csm qualcuno chiede di aprire una pratica disciplinare perché ha denunciato che lo Stato si sta ritirando. Sissignori, una pratica disciplinare contro un eroe della Repubblica. Grazie, ancora grazie, per tutto quello che ha subito in vita. Più il resto…
Nando
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