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Asinara 1. Il paradiso e il ritorno
Tornato ieri sera dall’Asinara! Non so nemmeno da che parte
incominciare. Credo proprio che farò una bella serie di post perché quel che ho
vissuto, quel che abbiamo vissuto, è troppo ricco e grande per potere essere sintetizzato.
Chi può sintetizzare i profumi e i silenzi, le parole che cadono nella notte
insieme alle stelle, la felicità di venti giovani, la storia che ti rimbalza
addosso mentre cerchi faticosamente di afferrarla? L’Italia che resiste e il
carcere dell’Asinara, una piccola isola e i grandi drammi del paese. E un parco
naturale che rivela d’incanto come potrebbe essere il mondo e come non è. Qui
accanto trovate quel che ho scritto ieri sul “Fatto”. A sua volta concentrato
di pagine e pagine che avrei voluto mandare agli amici e ai blogghisti affezionati.
Vi dirò intanto che è stata un’esperienza indimenticabile. L’idea mi era venuta
in inverno parlando con Giampiero Farru, coordinatore regionale di Libera. Vorrei
andare in ritiro spirituale per una settimana in un monastero, gli avevo detto.
Me ne trovi uno, tu che insegni religione? Lo userei per leggermi qualche testo
di filosofia, per rifugiarmi finalmente in una riflessione lenta. Ne ho
bisogno. Potresti andare all’Asinara, mi ha detto lui. Forse ce la daranno in
gestione in estate, per seguire la parte del carcere bunker, c’è una foresteria,
lì il paesaggio è meraviglioso. La proposta mi era piaciuta al punto che avevo
pensato di estenderla anche ad alcuni studenti. Si potrebbe riflettere e
studiare insieme, avevo immaginato.
E’ finita tra letti a castello, aperitivi da preparare tutte le sere, notti in
pineta tra asini bianchi e cinghiali, sentieri pericolanti verso le spiagge più
belle del mondo, bagni solitari e di gruppo, chitarra e canzoni dei Nomadi e di
De André, vagoni di mirto. Ma anche, non ci crederete, con un lavoro sodo e
appassionato. Per accompagnare centinaia di turisti tra meandri del carcere
bunker e spiegarne loro la storia, per ricostruire quella stessa storia con più
precisione di quanta se ne trovi nella leggenda locale (una vera esercitazione
sul campo di metodologia della ricerca). E naturalmente per tenere i seminari
notturni, a orari sempre più tardi, sull’Italia civile dei “don”. Bellissimo:
tutti seduti sui muretti e sulle panchine del sagrato della chiesa, nella parte
alta del borgo dove eravamo, intorno ai relatori di turno. E con la
partecipazione fissa di un gatto, una capra unicorna e un cinghiale all’apparenza
mansueto, circolanti tra noi con la massima naturalezza.
Come abbiamo fatto a conciliare queste tante dimensioni della vita? Semplice:
praticamente non dormendo. E come si fa a rinunciare a quel mare sfavillante?
Come si fa a rinunciare al mare “colore del vino”? Come si fa a rinunciare alla
cascata di stelle che arriva da una via Lattea che copre mezzo cielo blu
mistero? E quando lo si rivede tutto questo? Quando poi riuscirò a fare il mio
ritiro spirituale, questo è un altro problema. So che è stato stupendo. So che
i ragazzi ieri, pur così felici, avevano dentro un’incomunicabile nota di
tristezza. La bellezza insperata di un vero esperimento sociale era finita. Al
prossimo post!
Nando
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