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La ragazza di ottant’anni che batte la mafia con il jazz
Il Fatto Quotidiano, 11.8.13
L’immenso presepe illumina la valle con delicatezza
geometrica, sorvolato da nuvole rosa trasparenti. Lei, una giacca jeans e una
collana colorata da ragazzina, se lo gode dall’alto, seduta come una regina tra
artisti e clienti di fama che passano e la omaggiano, “signora Francesca,
signora Francesca”. Chissà se aveva mai immaginato che alla soglia degli
ottanta potesse toccarle una soddisfazione simile. Un festival di grido e di qualità,
la seconda edizione del Modica jazz fest, gruppi giovanili e talenti di fama
internazionale che si danno il turno tutte le sere nell’anfiteatro che suo
figlio Bartolo ha genialmente ricavato da una cava di pietra del nonno, sulla
collina dell’Idria. Dietro il pubblico si erge il bianco quasi candido della roccia,
incava nel basso come un’onda che monti. Davanti sta il presepe immenso, ossia
Modica, città delle cento chiese e dei gonfi palazzi nobiliari, con il duomo di
San Giorgio che splende sulla scalinata ocra piazzata nel mezzo della scena.
Francesca Garofalo in Turlà ha accanto a sé Elisa e Bartolo, i due figli avuti
da Salvatore, il marito molto più anziano, ex pezzo grosso del fascismo locale
appartenente alla razza dei galantuomini di destra. Direttore della agenzia di
Modica della Banca agricola popolare di Ragusa, quando scoprì un ammanco
milionario causato da impiegati infedeli, tutelò i risparmiatori mettendoci direttamente
i suoi soldi, anticipo di liquidazione compreso. Dopo la sua morte, era il
1976, Francesca passò per un’iradiddio di vessazioni. Vedova giovane e sola di
un potente che educava all’amore per la terra e per il lavoro, scoprì d’incanto
l’altra faccia del potere. Una congrega di affaristi, di cialtroni e di
politici ne fece la vittima sacrificale dei propri appetiti. Contributi agrari
a fondo perduto che svaporavano appena lei rifiutava di spartirli a metà con i
funzionari di banca competenti, pratiche e autorizzazioni che improvvisamente
venivano rinviate o negate dopo i primi rilievi tecnici favorevoli, burocrazie
zelanti e false perizie che a rileggerle gridano vendetta ancora oggi. Un
labirinto di truffe e prepotenze, minacce armate e danneggiamenti “anonimi”. Il
fatto è che facevano gola a molti le due aziende agricole di Mortilla e di
Gisira rimaste in eredità alla vedova inesperta. Erano i primi anni ottanta, e da
queste parti nessuno sposava le cause delle vittime di mafia e corruzione. Lettere
e denunce ad alti commissari antimafia, comandanti locali dei carabinieri,
ministri della giustizia e cardinali: tutto inutile.
La guardi serena e fanciullesca com’è oggi e non ti capaciti che un dirigente
di banca le possa intimare di vendere quel terreno perché in caso contrario vi
sarà costretta. Almeno finché non ti spiegano che il terreno di Mortilla era
nei pressi di Comiso, la località ragusana in cui sarebbe dovuta nascere la
base missilistica della Nato contro cui si batté come un leone Pio La Torre. Primissimi
anni ottanta. Quei terreni avrebbero ospitato, nei piani Nato, aree militari,
caseggiati e uffici per migliaia di soldati. E tutti i commerci intorno.
D’improvviso, insomma, erano diventati oro, i missili come re Mida. E la mafia
delle speculazioni ci aveva piantato gli occhi. Che cosa poteva Francesca
davanti a questa forza d’urto? Resistette il più possibile, finendo sconfitta. La
sua storia è stata anche raccontata da un insegnante lodigiano, Ercole Ongaro,
in un esemplare libretto, Una storia per
resistere, non a caso dedicato a Libero Grassi, “ucciso per avere
resistito”.
Per questo, oggi, quel suo stare da regina in mezzo alla gente colta che ama il jazz affascina e appaga chi senta raccontare per la prima volta questa ordinaria ma infinita vicenda di sopruso. E’ lei, ora, che domina Modica dall’alto. Davanti ai suoi occhi si compie il trionfo di un luogo che sembrava destinato a non dare frutti, una cava di pietra, e che come nei miracoli del sud è diventato bellezza da capogiro, luogo d’arte e di cultura. “Hostaria della musica” si chiama il ristorante di famiglia attiguo all’anfiteatro, e lei accoglie proprio nel punto di passaggio, tra jazz e gastronomia, quasi a ribadire in ogni forma la passione per la musica che fu prima sua e poi di Elisa e Bartolo, quel figlio barbuto e gentile che sembra un Nettuno sbucato da Capo Passero a difenderla. La serata è stata grandiosa. Il pubblico ha scoperto un giovane trio salernitano di jazz ed è andato in visibilio per i virtuosismi appassionati di Rosario Giuliani, sassofonista tra i più grandi al mondo. Francesca si siede accanto all’ospite milanese. Ricorda sorridendo di malinconica amarezza i torti subiti nei decenni. Poi si confida: “Sì, è bello questo festival. E’ bello vedere questo posto popolato di musica e di gente. Essere i padroni di casa. E certo vorrei fare qui le prossime edizioni. Ma sa che cosa le dico? Che sogno di farne qui anche un altro, di festival: mi piacerebbe tanto un festival della legalità”. La sua più grande rivincita. Se c’è qualche giovane sfiduciato e pessimista venga qui a Modica, alla scuola sublime di questa ragazza che va per gli ottanta.
Nando
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