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Le due vite di Flo, badante con orgoglio
Il Fatto Quotidiano, 18.8.13
E’ nata sotto un albero di prugne. Come in un fiaba. Anche
se non c’era alcuna fiaba ad accoglierla. Flo è una giovane donna rumena che
racconta due vite in una. Diciamo che le racconta meglio se c’è una donna amica
a fare da garante. Dell’universo maschile, rumeno o italiano, non ha una gran
fiducia. Ma poi ti consegna la fatica e l’orgoglio, la sfida e l’amore. Arrivò
in Italia nel 2002. Da clandestina, per aiutare il padre ormai ammalato a letto
e senza assistenza, neanche i soldi per le medicine e i pannoloni. “Volevo
farlo vivere più a lungo”. Le solite catene migratorie, i cognati delle cugine
degli amici, e si trovò a Torino senza sapere una parola d’italiano, i
lunghissimi capelli neri arrotolati intorno alla testa. Quando un poliziotto la
avvicinò facendole un sacco di domande, lei continuò a rispondere di sì senza
nemmeno immaginare che cosa le stesse chiedendo. Non le successe nulla, grazie
al cielo, perché “la polizia si occupava di chi faceva del male”. La sua storia
sembra in lotta con un’intera antologia di stereotipi.
Che cosa la colpì di più dell’Italia? In Piemonte, l’assenza del mare delle canzoni
e la scoperta che anche qui esistevano i monti e i boschi. Una scoperta
rassicurante, visto che il padre faceva il boscaiolo in un paese di montagna di
mille anime, vicino a Sucava, città del nord. Lì era nata, appunto, sotto
l’albero di prugne mentre la madre tagliava il fieno. Settima di nove figli,
fortuna che c’era anche la sorella grande che conosceva in paese una signora
che aiutava a partorire. Poi la colpì la generosità del nostro popolo: “andai
in una famiglia dove lavorava anche mia cugina, ad aiutare una signora
cinquantenne in carrozzella; erano molto gentili con me, non erano come si
raccontava degli italiani, e me ne andai anzi per colpa di mia cugina, perché
fu lei a comportarsi male con me”. Dice e forse omette con timidezza, Flo, ci dev’essere
dell’altro, scivola spesso via sui suoi connazionali. “Ho amiche tra le rumene,
certo, ma ne ho di più tra le italiane ormai”. Infine la colpì il rapporto tra
l’età e il fisico delle donne. Quando da Torino giunse a Roma, sempre
attraverso le catene delle cugine dei cognati delle amiche, non credeva che la
signora che l’aveva presa in casa ancora clandestina avesse molti più anni di
lei. E nemmeno delle amiche della signora lo credeva. “Perché da noi non è
possibile che una donna oltre i cinquanta sembri ancora giovane, da noi sono
vecchie a quaranta. Forse non a Bucarest, ma nei paesi di montagna sì”. Flo
conosce quella vita di stenti. Per una legge voluta da Ceausescu ha studiato
fino al liceo, titolo di istruzione obbligatorio, ma già da piccola guardava le
pecore e le mucche e i cavalli, accompagnava il padre a fare legna nei boschi,
per diventare poi ricamatrice di tovaglie condannata “giorno e notte alla
macchina da cucire”, e quindi cameriera e cuoca in un albergo. “La scuola? La
facevo la sera. E per risparmiare andavo a piedi, sette chilometri all’andata e
sette al ritorno”.
Nel 2002 aveva promesso alla madre che dopo tre mesi sarebbe rientrata, “per
non farla preoccupare”. Invece è rimasta qui e non torna da tre anni, anche
adesso che l’ingresso della Romania nell’Unione europea ha cancellato ogni
problema burocratico. Sta bene a Roma, è diventata amica della signora da cui
lavora, ha fatto da badante al padre di lei per otto anni. Una relazione
filiale, ancora si commuove a parlare del “nonno” con cui trascorreva tutta la
giornata. Lui ci scherzava su. “Il nonno mi chiedeva da quanti anni stiamo
insieme, io gli dicevo otto e allora lui rispondeva ridendo che oggi non durano
otto anni nemmeno i matrimoni”. Il matrimonio, appunto. Tale era la devozione
di Flo verso il vecchio che andava perdendo la memoria, che la signora e gli
altri parenti un giorno le proposero di sposarlo. Non sarebbe stata forse
giusta la sua pensione per una donna che senza alcun interesse gli aveva
regalato quell’insperato supplemento di tenerezza, accudendolo prima come una
figlia e poi sempre più come una madre? “Piansi una notte intera dopo quella proposta”. Decise di no. “Perché io
quelle attenzioni le ho avute per rispetto, dobbiamo fare qualcosa per noi
stessi, non solo per i soldi”. E poi per orgoglio, perché non voleva entrare
nel mucchio “di quelle che sfruttano”, non voleva far spettegolare le altre
rumene.
Flo ora legge e parla l’italiano disinvoltamente (“il caffè lo vuole deca?”) e fa da dio la pizza e le lasagne. Aiuta la famiglia “ma non come si crede, perché lì i prezzi sono alti, sono bassi solo i salari”. Dice che oggi per lei la Romania è un paese straniero (il canale tivù rumeno lo chiude subito, “troppe cattiverie”). Sogna però che la sua signora-amica vada un giorno a vedere i luoghi della sua infanzia. E magari di tornarci fra un paio di decenni per aiutare i vecchi e i bambini abbandonati. “E a un marito, Flo, non ci pensa?” La domanda è impertinente. Ma Flo è gentile. Indaga il cielo un attimo. “Si potrebbe anche. Se è un uomo per bene e mi rispetta per quello che sono. E ho detto tutto”. Quanta fatica devono contenere le due vite di Flo.
Nando
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