Vi racconto Elena, ricercatrice e senatore a vita

Il Fatto Quotidiano, 1.9.13

Quando la conobbi lo scorso inverno mi colpì
soprattutto una frase: “La ricerca è una cosa stupenda. Sei tu con le tue
ipotesi, e le gioie e fallimenti che ne possono derivare. Puoi fare del bene ad
altri, questa è la miccia, perciò la spina non la stacchi mai. Lo sa che cosa
mi dico sempre? Che ogni ora fuori dal laboratorio è persa”. Ecco, forse stanno
qui, nel sacro fuoco della ricerca, nell’ansia di “fare del bene ad altri”, le
ragioni che hanno portato a scegliere lei, cinquantenne e priva di risonanza
mediatica, per il ruolo inatteso di senatrice a vita.
Era il mese di febbraio. L’incontro con Elena Cattaneo era stato organizzato da
un noto avvocato milanese, Augusto Bianchi, che molti anni fa scrisse un testo
portato al festival del teatro di Glasgow proprio sulla malattia rara, la Còrea
di Huntington, alla quale la biologa milanese ha dedicato decenni di vita. Non
puoi non parlarne nelle tue storie sul “Fatto”, mi aveva detto, aggiungendo: “è
una donna straordinaria”. Fu la prima volta che un quotidiano le dedicò un
ritratto, non essendo, per definizione, la fatica di uno scienziato una
notizia. Lei si presentò all’incontro timida e compita, occhialini rettangolari
rossi e scialle a fiori. Comunicò da subito il fervore della sua missione
scientifica. Spiegò in che cosa consista la malattia, questa danza infelice che
si impossessa, fino alla morte, di persone che perdono le capacità di controllo
e le funzioni muscolari per un eccesso di lettere (trentacinque è la cifra di
guardia) inscritte nel gene che nacque ottocento milioni di anni fa nell’ameba.
Mi spiegò che l’aumento delle cifre è connesso con la nostra spinta evolutiva:
due nel riccio, sette nel topo, dieci nella pecora, quindici nella scimmia, e
l’uomo che si avvicina o supera i trentacinque “pagando il prezzo della sua
evoluzione”. Mostrò di collocare la sua ricerca in una particolare filosofia
della scienza. E mi confessò che qualche volta la domenica, per “non perdere
tempo”, si porta in laboratorio i figli a studiare. Lodò la sua famiglia, che già
quando era giovane sposa aveva seguito “con complicità” i suoi sogni di
ricercatrice. Aggiunse, schermendosi e forse profetica, che la sua vita era
stata “semplice e fortunata”. Mi raccontò con orgoglio del padre operaio alla
Fiat che si era preso la licenza media a quarant’anni “andando a scuola con i
ragazzini”.
Mi colpì in particolare l’ entusiasmo con cui parlò delle cellule staminali
embrionali, lei che insegna “Cellule staminali” all’università degli studi di
Milano, dove si occupa anche di biotecnologie. Si accalorò: “Ma lo sa l’uso
prezioso che se ne può fare per tante malattie? Sono cellule bellissime. E il
paradosso di questo tabù è che prima si pretende che queste cellule abbiano
un’anima e poi le si tiene in frigorifero; che la legge ci impedisce di crearle ma poi le importiamo
dall’estero perché tutti sappiamo che sono necessarie”. Non si capacitava delle opportunità negate alla
scienza e agli esseri umani dalla battaglia ideologica che ha messo al bando in
Italia cellule preziose per le loro virtù terapeutiche, e che è poi ciò che l’ha
spinta a fare causa al governo Berlusconi con due sue colleghe.

“La nomina di Napolitano? Sono felice, orgogliosissima per quello che rappresenta per la ricerca, tante volte umiliata e sottovalutata. C’erano certo altri nomi interessanti. Ma il presidente mi ha detto che ha visto la febbre della scienza in tanti giovani ricercatori, e che bisogna incoraggiarli. Sa, la scienza dà risultati pubblici, verificabili, ripetibili da altri, diventa di tutti, ed è questo il suo grande messaggio civile, al di là dei risultati. Nella ricerca conta la verità dei fatti, l’evidenza, mentre con la questione della stamina la politica ha fatto esattamente il contrario: ha reso più importante la convenienza”. Il rettore della Statale di Milano, Gianluca Vago, è raggiante. “E’ un riconoscimento anche per noi, per i nostri sforzi. Elena ha fatto tutta la sua carriera nell’università pubblica, in laboratori pubblici. E poi ha avuto il coraggio di esporsi sulla stamina mentre buona parte dell’accademia ha preferito l a prudenza. Lei e il suo gruppo hanno coinvolto anche gli studenti delle scuole, perfino sul piano internazionale. Uno scienziato che crede nelle ragioni del suo lavoro deve difenderle. Che non significa certo prender parte alla politica dei partiti”.
Appunto, il metodo. Elena Cattaneo vuole battersi ora perché i valori della scienza vengano riconosciuti e incorporati “dalla società civile e dagli stessi palazzi della politica che frequenterò. Quando la politica non rispetta la scienza rischia di assecondare la ciarlataneria. E il presidente mi ha detto che con la mia nomina voleva attenersi allo spirito con cui i padri costituenti intesero questa sua facoltà speciale: portare in parlamento il patrimonio di valori delle arti, della cultura e della scienza. Io porterò le ragioni della ricerca, a nome di tanti. Cercherò anche così di essere utile al paese. La nostra vita è talmente breve che vivere per se stessi o anche per la propria famiglia non ha davvero senso. Bisogna lasciare un pezzetto di sé a tutti, non trova?”

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