Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono utilizzati cookie di terze parti per il monitoraggio degli accessi e la visualizzazione di video. Per saperne di più e leggere come disabilitarne l'uso, consulta l'informativa estesa sull'uso dei cookie.AccettoLeggi di più
Antonio, direttore di carcere con piscina
Il Fatto Quotidiano, 5.10.13
Eccolo, il famoso direttore. Gli occhiali appesi a un
bottone della camicia rosa, lo sguardo trasparente, i capelli bianchi.
Faticheresti a riconoscere nel signore gentile che hai di fronte quel giovane
dalla barba nerissima visto su facebook, un po’ Mauro Rostagno un po’ Peppino
Impastato. Roba di trentacinque anni fa. Ne sono passati venticinque da quando
è arrivato dal carcere fiorentino di Sollicciano ad Augusta, provincia di
Siracusa. Missione: dirigere la casa circondariale della città. “Perché direttore
di un carcere? Non lo so, forse perché volevo fare un lavoro a sfondo sociale.
Mi sono laureato in giurisprudenza a Catania e poi sono stato vicedirettore per
cinque anni a Sollicciano, un carcere dove originariamente la cella era pensata
solo per la notte, peccato che il terrorismo abbia fatto dimenticare quel
progetto. Vede, io sogno un luogo dove la cella serva per dormirci. E dove la
giornata si riempia di senso dalla mattina alla sera. E si può fare tanto, più
di quanto si immagini. Ho scoperto una cosa. Che paradossalmente il carcere
interessa poco alla società che conta, sicché ci si può permettere una buona
dose di autonomia, naturalmente se non si combinano grossi guai. Sia chiaro,
faccio solo quello che è permesso dalla legge. Ma lo spazio è tanto. Sì, glielo
faccio subito l’esempio: la piscina. Ce l’hanno regalata (qui il direttore
sorride con gioia; nda). E’ andata così. Avevamo avuto l’idea di un corso di
apnea a secco, utilissimo, fondato sul respiro e sul controllo delle emozioni.
Ne avevo parlato con Patrizia Maiorca, la figlia di Enzo, che sta a Siracusa. E
lei, che nemmeno sapeva di che si trattasse, ne è rimasta affascinata e ci ha
fatto avere la piscina. E ora si fa l’apnea in vasca, che è di un liberatorio
incredibile. Quanti detenuti abbiamo? Circa cinquecento, tutti maschi. In gran
parte comuni. Solo cinquanta sono di massima sicurezza, diciamo mafiosi. Il 30
per cento sono stranieri, un po’ di tutte le nazionalità. Io cerco di
promuovere in loro la capacità e la voglia di esprimersi. Canto e teatro
soprattutto, sono una cinquantina che vi
si dedicano. Ma anche pittura. E sport, palestra e due campetti di calcio.
Oltre naturalmente la scuola con i corsi professionali. Se facciamo spettacoli?
Sì, e allora cerchiamo di aprirli all’esterno, con tutte le precauzioni
naturalmente. Pensi che una volta un detenuto, Christian si chiama, aveva
talmente voglia di partecipare allo spettacolo che volle restare a farlo anche
se proprio quel giorno era stato scarcerato. Era il più bravo a cantare, diede anche
il bis, e poi salutò uno per uno gli spettatori al punto che ci dicemmo ‘miii,
non se ne vole ire’. Oggi continua a scrivere alla maestra e a chiederle mie
notizie”.
Il dottor Antonio Gelardi, direttore della casa circondariale di Augusta, racconta,
ricorda e ogni tanto sorride. Fa parte di quel gruppo di direttori di carcere e
di prefetti, molte donne, che sta cambiando il volto delle istituzioni più
tradizionali della Sicilia. Proprio una sua collega, la direttrice di Enna,
Letizia Bellelli, lo ascolta muta e consenziente, quasi pensasse parola per
parola le stesse cose. Figlio di un direttore di banca, marito di una
educatrice di carcere, padre di due belle facce ventenni, lui studente di
giurisprudenza a Trento, lei di arabo a Granada, il nostro direttore ha
soprattutto un obiettivo: “Bisogna impedire che si esca dal carcere peggiori di
quando ci si è entrati. O che la vita vi venga spenta. E guardi che purtroppo
capita. Se ho degli impegni sociali? Ma è questo il mio impegno sociale. Poi
certo mi interesso di quello che succede fuori. La politica no, in Sicilia i
partiti sono impraticabili, sono corpi chiusi. E se uno per sbaglio ci mette il
naso se ne va via subito. L’unica appartenenza culturale-politica che ho è
quella di Libertà e Giustizia, di cui seguo quando posso le attività di
formazione. Ne avremmo bisogno di formazione. Sa, io di mafiosi ne ho
conosciuti tanti. Riina no, ma gli altri quasi tutti. E non ho mai avuto
l’impressione che si trattasse di persone di grande intelligenza. Certo,
scaltrissimi. E feroci. Ma non prodigi di intelligenza. E quindi non mi
capacito del perché lo Stato non si decida a contrapporgli sempre i migliori
invece che schierare tanti mediocri. Più intelligenza: così si possono
battere”.
Il sorriso stavolta è amaro. Il direttore conserva un’anima utopista. Ha riletto ultimamente le poesie di Danilo Dolci (“vince chi non si illude”, recita). Ama il jazz e Miles Davis. Si diletta di fotografare nelle giornate di riposo i gatti di Ortigia, il bellissimo quartiere-isola di Siracusa. O i balconi infiorati. Ma forse le foto che gli sono più care sono quelle di quando girava l’Europa in groppa a una Guzzi, la Spagna e Dublino. O di quando andava in autostop fino a Utrecht. Devono stargli nel cuore quelle foto di gioventù. Anche perché, e questo finora non l’abbiamo detto, oggi al posto della moto c’è una carrozzina, per qualche ragione che non abbiamo avuto l’animo di chiedergli. Perché non è da queste cose che si giudica un direttore. Anche se segna l’incontro con quest’ uomo che un giorno fu qualcosa a metà tra Mauro Rostagno e Peppino Impastato. E forse ancora lo è in fondo all’animo.
Nando
Next ArticleLampedusa, le complessità di B, un libro contro il circo e la "Farfalla granata" stasera