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Sedriano in tivù. Quando l’omertà ha l’accento padano
Il Fatto Quotidiano, 27.10.13
Bisognava
sentirli. Bisognava sentirle. Rispondevano dalla ricca Lombardia, così
orgogliosa delle sue tradizioni civili e della sua superiorità da avere
regalato cifre record a chi le prometteva la secessione. E sembrava di sentire
i cittadini (le cittadine no, perché allora non apparivano) della Corleone
degli anni sessanta. Il servizio di Maria Grazia Mazzola mandato in onda
l’altro ieri notte da Tv7 su Rai1 ha dato un’immagine raccapricciante di
Sedriano, il primo comune della Lombardia sciolto per mafia, attraverso le parole
e i silenzi dei suoi stessi cittadini. E ha raccontato. Ha spiegato soprattutto
due cose: perché i clan della ‘ndrangheta vadano al galoppo alle porte di
Milano e che cosa succeda poi alle comunità in cui mettono su casa, facendo
affari con la borghesia del denaro e delle professioni e con la politica. Un disastro civile. Già ce lo aveva mostrato
un paio d’anni fa una puntata di “Presa diretta” di Riccardo Iacona:
un’inchiesta dedicata a Lonate Pozzolo, paesone in provincia di Varese dove si
sono installati i clan di Cirò Marina. Ma lì la gente che rispondeva aveva
spesso l’accento calabrese. L’altra notte invece no. Dall’hinterland del magentino,
a ovest di Milano, giungevano accenti padanissimi. Un intruglio di omertà (il
rifiuto del microfono), di familismo amorale (“non ne voglio sapere, io penso
alle cose di casa mia”), di spirito di impunità (“io lo rivoto ancora”), di
qualunquismo protettivo (“si sa com’è la politica, io non me ne occupo”), di
rifiuto delle leggi (l’attacco inacidito ai magistrati; mancava solo la
parolina “sbirri”…). Una colorita antologia di persone che avevano come ultima
preoccupazione quella di condannare la mafia o di invitare le autorità a
combatterla seriamente. E un sindaco, il celebre Alfredo Celeste, che cercava
di buttarla in politica e non si arrendeva nemmeno davanti al fatto che fosse
stato un ministro dell’interno del suo partito a sancire alla fine lo
scioglimento della sua amministrazione: “vede, Alfano sta pensando a un suo
partito”. Sullo sfondo si stagliavano sagome minacciose: l’intreccio di affari,
politica & ‘ndrangheta che ha imperato per anni, per nulla imbarazzato dalle
prime misure di arresto nei confronti del sindaco, né dai contenuti delle
intercettazioni telefoniche, né dall’ emergere di uno sfacciato intrico di
relazioni e parentele consacrato nello stesso consiglio comunale.
Nell’antropologia culturale lombarda è avvenuto un paradosso che ha qualcosa di
grandioso. Proprio sotto il governo della Lega una parte larga della
popolazione si è come corleonesizzata, e questo mentre in Sicilia la gioventù
di Corleone si liberava delle sue catene e faceva incontri e gemellaggi con le
scuole dell’Italia più avanzata, invitate sui beni confiscati ai clan più
sanguinari. La colonizzazione della Lombardia non è fatta insomma solo del
monopolio delle imprese calabresi nel movimento terra ma è soprattutto processo
mentale, culturale. Davanti all’arrivo dei don Rodrigo di Platì e di Rosarno,
si moltiplicano i don Abbondio e spariscono i fra’ Cristoforo. C’è per fortuna,
da poco, la Milano orgogliosa di civiltà che celebra i funerali di Lea Garofalo;
ma ci sono le Sedriano sciolte per mafia, a cui altri comuni -quanto a presenza
mafiosa- hanno proprio poco da invidiare.
E’ su questo teatro che si svolgono le nostre “storie italiane”. In cui già
avevamo collocato la disfida tra il sindaco Celeste e la giovanissima
giornalista Ester Castano che con il suo settimanale “Altomilanese” ha
denunciato per anni nell’inerzia generale quel che a Sedriano accadeva, per
essere a sua volta svillaneggiata, insultata e calunniata. Oggi, visto il
servizio di Tv7, quella denuncia vale dieci volte di più. E forse è giusto
ricordare come Ester Castano e il suo direttore Ersilio Mattioni siano passati
per una serie di intimidazioni (gomme tagliate, bossoli in busta, lettere
minatorie, avvertimenti orali) senza mai atteggiarsi a vittime eroiche di una lotta
che stavano facendo solo loro, e senza reclamare scorte; come abbiano fatto
leva sulla capacità dell’opinione pubblica nazionale (o della sua parte meno
addormentata) di tenere accesi i riflettori sul loro paese. Hanno così reso
all’antimafia un doppio servigio: hanno tenuto testa a un potere prevaricatore
reso forte dall’indifferenza altrui; hanno dimostrato che anche il rischio e l’intimidazione
quotidiana possono essere affrontati con sobrietà, senza seminare la paura che
paralizza gli incerti e completa il paesaggio della colonizzazione.
E i partiti? Be’, il caso Sedriano non sarebbe stato possibile se i comportamenti scandalosi fossero reputati istintivamente scandalosi; se i partiti mettessero un briciolo di impegno nella selezione morale della propria classe dirigente; se i clan non sapessero di potere contare su una particolarissima nozione di politically correct che si è affermata nei decenni nell’hinterland milanese (da Buccinasco a Bollate) ma non solo, e che prevede omertà, silenzi e soprattutto l’opportunità di “non esagerare”. Se le “leggi della politica” non avessero la meglio sui codici. In definitiva dietro le sagome minacciose ci sono quelle leggi mai scritte da nessuno, e che nessuno butta mai all’aria.
Nando
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