Commissione Antimafia, assente ingiustificata (sul “Fatto” del 2 novembre)

 

Scusate, ma ora quanto ci vorrà a far partire la Commissione
antimafia? Davvero resterà ostaggio dell’umorale (e amorale) Aventino dei
parlamentari berlusconiani? Il fatto è che mafia e antimafia continuano a
essere due efficacissimi indicatori della qualità della politica italiana. Ci
sono voluti non mesi ma stagioni perché la Commissione venisse istituita. E’
arrivata in coda al resto, con tutto comodo. Intendiamoci. La lotta alla
criminalità organizzata va avanti lo stesso. Ma pur con i suoi acciacchi
storici e le sue cadute di prestigio, la Commissione a qualcosa serve. Produce
materiale e documentazione che, se solo venissero curati e preparati per l’uso
pubblico, sarebbero una autentica miniera. Terrebbero la consapevolezza del
paese ben al di sopra di ciò che viene autorizzato da sentenze sempre meno
decenti, specie al nord e in Cassazione. Farebbero da riferimento per consiglieri
comunali e giornalisti volonterosi in ogni parte d’Italia. Aiuterebbero
università e scuole a produrre cultura adeguata in materia. Di più. I viaggi e
le audizioni della Commissione, anche se vengono spesso usati come vetrine
politiche e palestre di narcisismo, costituiscono un importante elemento di
pressione su realtà istituzionali molte volte indolenti quando non complici. Impongono
sul piano nazionale un problema fino a quel momento infrattato nelle pieghe
della vita pubblica locale. Non occorrono grandi riflessioni. E’ stato sciolto
il comune di Sedriano, Milano si difende come può dall’accerchiamento di clan
in adrenalina da Expo, in Puglia torna a spumeggiare la violenza criminale,
spuntano connessioni tra ‘ndrangheta e clan slavi, e molto altro ancora si potrebbe
aggiungere. E questo parlamento, già in affanno nel legiferare, rinuncia anche alle
sue facoltà di indagine e di inchiesta, magari con l’idea che tanto si torna al
voto in pochi mesi?
Dopo i lunghi silenzi della politica, assoggettarsi alla decisione di azzoppare
la Commissione avrebbe un sapore collusivo, anche se spiegato con le “regole
della politica”. Che cosa rimprovera in definitiva il gruppo pdl alla Commissione?
Di essere guidata da Rosy Bindi. Alla quale non imputa di non avere competenze
in materia. Ma proprio di essere Rosy Bindi. Ossia di rappresentare il modello
di donna politica agli antipodi dell’immaginario berlusconiano (e perciò bersaglio
fisso di una satira pecoreccia); e di essere, tra gli esponenti del
centrosinistra, uno dei meno inclini in assoluto agli inciuci sulla giustizia.
Dunque non potrebbe presiedere la commissione incaricata di condurre la lotta
politica contro la mafia perché troppo “schierata” sulla legalità! Il
centrosinistra non ha altro da fare: deve decidere se questa pretesa può essere
titolata a fermare l’attività del parlamento contro la mafia. Certo, se Bindi
avesse una storia di impegno specifico sull’argomento sarebbe meglio. Ma nulla
sapevano dell’argomento i decorosissimi presidenti della prima antimafia, da Francesco
Cattanei a Luigi Carraro, per i quali la mafia era un affare della lontana e
misteriosa Sicilia. E nulla sapeva Bindi di sanità quando risultò, agli occhi
dei medici meno corporativi, una brava ministra della sanità. Per le competenze
c’è un vicepresidente come Claudio Fava, che la mafia la conosce e la combatte
da più di trent’anni e che porta in Commissione una storia esemplare.

 

E ci sono per fortuna diversi deputati e senatori con storie ricche di impegno civile e politico. Fermarsi dunque a questo punto non avrebbe senso. Se in un governo di larghe intese  è sensato -per definizione- varare leggi e provvedimenti condivisi, del tutto assurdo sarebbe invece inchinarsi ai peggiori umori dell’alleato sulle questioni che hanno a che fare con l’essenza stessa dello Stato. Se si governa insieme innaturalmente, la prima premessa è garantire il rispetto delle regole e delle leggi.
Il guaio è che è difficile capirlo se si barcolla così vistosamente sull’abc istituzionale. Se ad esempio ancora ci si gingilla con la legge Severino, immaginando che si possa votare se applicarla o no (il parlamento fa le leggi; non può decidere, dopo che le ha fatte, se e quando applicarle). Se solo si pensa di andare al voto segreto per un caso che tutti dichiarano talmente politico da dipenderne le sorti del governo. Ci sia dunque un sussulto di responsabilità E si faccia partire l’antimafia. Di tempo se ne è perso fin troppo.

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