Quella strana (e bella) coppia per amor di Resistenza

 

Il Fatto Quotidiano, 10.11.13

Coppie così, in vita mia, ne ho viste poche. Perché qui si
parlerà del prete novantenne e della viceprefetto che di anni ne ha la metà.
Che fanno coppia fissa a Cuneo in nome della Resistenza. Lui perché è stato
partigiano nei Volontari della libertà, lei perché figlia di un partigiano
comunista morto pochi anni fa. Se incominciano a parlare e a ricordare si apre
un intero libro di storia. Troppo fitto e popolato per prendere appunti. E
allora bisogna accontentarsi di guardarli mentre pescano memorie. E poi mentre
progettano, perché i due non campano certo di nostalgia, anzi hanno dato vita,
tra le tante altre cose, a un centro culturale, l’ “Ignazio Vian” (il nome di una
medaglia d’oro della Resistenza, ovviamente), che è tra i più attivi in città e
che nelle ultime settimane ha organizzato un ciclo di eventi per spiegare
perché, nella temperie nazionale, c’è ancora bisogno di uno spirito
“resistente”.
Lui è don Aldo Benevelli, figlio di un imprenditore edile ma votato a povertà
quasi assoluta. Già professore di religione, è il simbolo di una stagione
gloriosa, di quelle che hanno ritagliato per Cuneo un ruolo di rilievo nella
storia del novecento italiano: la Resistenza, Duccio Galimberti, Nuto Revelli.
Ride a tavola, ricordando quando gli operai della stazione si misero un mattino
a sfottere senza più deferenza il capostazione giunto bello bello con il suo
distintivo del Fascio sul posto di lavoro. Minacciava punizioni, il poveretto,
ignaro che di notte il Gran Consiglio aveva decretato la fine di Mussolini. Racconta
di oggi, don Aldo, della Costituzione che va difesa, che non può essere
cambiata da persone che nessuno ha mai eletto, una cosa intollerabile per lui
che per primo salì a Boves a seppellire le vittime dell’eccidio che qui nessuno
ha mai dimenticato. Trascina anche il teatro affollato, e resti ammirato
davanti a quest’uomo dalla statura piccola e minuta, sopraffatta da un golfone
azzurro e da una giacca che gli arriva a mezza gamba. La sua voce frusta e
sprona gli indifferenti, davvero essere leader non è questione di physique du role ma di storia personale.
“Veste sempre così”, confida lei, Claudia Bergia, che ha preso ad accudirlo con
amore dopo la morte del padre, come a dovere restituire qualcosa alla
generazione della Resistenza. “Non gli importa nulla dell’estetica, gli ho pure
regalato un paio di mocassini, ma non c’è verso di fargli cambiare le scarpe.
Sempre quelle”. Solo al distintivo dei Volontari della libertà il prete tiene
molto, e lo mostra bene ai presenti rialzando platealmente il bavero.
La viceprefetto invece è una donna raffinata, lauree in legge e scienze
politiche. “Non avevo mai capito una cosa di mio padre partigiano. Quel
fazzoletto giallo. Sei comunista, gli dicevo, perché non ce l’avevi rosso? Lui
mi diede una lezione: ho chiesto ai partigiani dove sarei stato più utile, e
loro mi hanno mandato con il gruppo che aveva più bisogno di uomini. Non ho
guardato alle ideologie”. “Lei vuol sapere perché mi do tanto da fare per don
Aldo. Perché qui nel cuneese lui è una gloria, perché a tutti fa piacere averlo
e dire che è presente, ma poi nessuno si chiede se ha bisogno di qualcosa. Ha
un’auto che è una trappola e ha bisogno di muoversi, e non solo quando ci sono
i dibattiti. Per esempio, quando va a dir messa avrà pur bisogno di uno strappo,
o no? Così quando c’è stata la grande nevicata sono andata io a spalargli la neve davanti casa. Ce lo
teniamo caro, lo chiamano dappertutto fuori Cuneo, sanno che non è solo un
sopravvissuto, che anche oggi è un animatore, uno dei più grandi, pensi che ancora
segue a distanza dei progetti di aiuto in Africa, in Tanzania, a cui per molto
tempo si è dedicato direttamente”.
La viceprefetto ha decisamente una marcia in più. Spiega come Cuneo sia bella
ma abbia bisogno di rinsanguare le sue tradizioni. Di come la marginalità
geografica l’abbia protetta dallo sviluppo selvaggio, ma l’abbia un po’ chiusa
al mondo. “Quella di ‘Scrittori in città’ è certo una bella iniziativa. Ma
occorre di più. Sento di avere dei doveri che vanno oltre quelli del mio
lavoro, e anzi li completano. Deve o no un servitore dello Stato lavorare in
difesa della sua Costituzione e della legalità repubblicana? Ha visto lo
spettacolo bellissimo sull’antimafia degli studenti del liceo di Savigliano?
Ecco, tutto questo va incoraggiato. E nel ‘don’, nel suo spirito resistente, tutto
questo trova un riferimento. Poi lui è uno anche irascibile, sa? Dolce ma
irascibile, soprattutto se avverte un po’ di vanagloria, un difetto di
autenticità in chi parla. A volte, se gli gira male, si rifiuta perfino da
salire sul palco”.

 

Si è fatta notte. Nella grande piazza centrale intitolata a Duccio Galimberti, campeggiano sul terrazzo della fondazione omonima la sagoma dell’eroe partigiano e quella dei suoi ascoltatori, come a immortalare sotto la luna il celebre discorso del 26 luglio, che aprì l’epopea della Resistenza. La viceprefetto saluta don Aldo e prende appuntamento per portarlo alla prossima messa. Anche questa domenica alla cappella della stazione. E’ quello il “suo” luogo. Lo stesso in cui l’irriverenza dei ferrovieri festeggiò un giorno di luglio di settant’anni fa la caduta del fascismo.

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