Il giorno dell’Apocalisse

 

Ed è arrivato il 27 novembre, il giorno della fine del mondo. Pare che succederà la catastrofe, l’apocalisse. Il mondo si farà più mostro e bastardo che mai. Un signore potente, il cui cognome inizia tradizionalmente per B., subirà l’onta di vedersi applicata una legge da lui stesso votata in parlamento. Con questa follia di mezzo, vergogna nella vergogna: che debba essere il parlamento a decidere se applicarla  oppure no. Le argomentazioni sentite ieri sera in tivù sul fatto che così si decapita l’opposizione, o il riferimento all’”omicidio politico”, danno la misura dello stato confusionale del paese. Che proprio di testa non sta bene.
Non sta bene in Sardegna, purtroppo. E chi ama quella terra, chi ne conosce la generosità, ne soffre ancora di più. Quel che è accaduto, nuova certificazione scientifica di ciò che accade quando i costruttori hanno nella mani la politica, dovrebbe fare riflettere su come il nostro modello di economia debba rapidamente cambiare i suoi assi di riferimento. Ma non farà riflettere, perché il paese -appunto-  non sta bene di testa.
Sono giorni in cui al dolore per la Sardegna si è accompagnato quello per la perdita di due persone che per me hanno rappresentato un riferimento amico nell’editoria. Se ne è andato d’improvviso Enrico Mattesini, fondatore di Limina, ossia della narrativa sportiva in Italia. Geniale, generoso, impulsivo e visionario quanto è necessario per creare qualcosa. Prima di lui pochi romanzi sparsi, con lui anni di libri sullo sport. Gli ho dato il primo di tutti, quello del suo esordio, “La farfalla granata”, che ancora lo ringrazio di avermi indotto a scrivere. E poi un secondo, “Capitano mio Capitano”, dedicato ad Armando Picchi, grande capitano della grande Inter di Herrera. Avevamo anche fatto ultimamente alcuni progetti sulle giovani promesse della sociologia ma non si sono potuti realizzare, il mercato ha le sue leggi. A sua moglie Giovanna e ai suoi figli il più gentile dei pensieri.
Se ne è andato, ma non d’improvviso, Roberto Cerati, il grande vecchio buono di Einaudi. Il segno della continuità intellettuale nelle complicate vicende della casa editrice. Devo qualcosa anche a lui. Dagli anni novanta a oggi. Ultimamente gli devo il titolo “Buccinasco”, che volle fortemente, perché suonasse come provocazione, come pugno nello stomaco dei dormienti. E ci è riuscito. Con lui la cultura italiana perde una figura grande e modesta (e perciò ancora più grande).
Dopo anni e anni ho ricevuto ospitalità romana da Titina ed Hector Man. E questo mi ha fatto tornare giovane. I ricordi non danno solo nostalgia. Vivificano, danno allegria. Anche se è il giorno dell’Apocalisse….

Leave a Reply

Next ArticleIl festival di Fano, il mio Ambrogino, e il bello di Bonimba