Buon Natale, procuratore Caselli

 

Il Fatto Quotidiano, 22.12.13

Buon Natale, procuratore Caselli. Auguri a lei che dopo
quarantasei anni al servizio della legge sta per andarsene in pensione. L’ho
vista l’altra sera su La7 e ho colto l’orgoglio di chi può dire di non avere,
in tanti decenni trascorsi in prima fila, mai piegato la schiena. L’ho vista
rivendicare il suo operato in occasione del processo a Giulio Andreotti, quel
nome tabù (“la lettera a” dicevano i giornalisti di Montecitorio) davanti al
quale in tanti, tantissimi, si sarebbero ritratti. Perché il potere, il Palazzo
pasoliniano, ha memoria di elefante. E non perdona mai. Credo che lo sapesse
bene quando scelse di applicare la legge ai comportamenti del politico più potente
in assoluto della Prima repubblica. Forse non immaginava che la vendetta
sarebbe arrivata così dura e compatta, grazie alla fusione realizzatasi anni dopo
tra lo spirito impunitario dei nuovi padroni della politica e la voglia di
rivalsa degli antichi poteri. I processi di Berlusconi e il processo Andreotti
avvinghiati in un’unica, simbolica rivolta al principio di legalità, a cui pure
il leader democristiano volle inchinarsi formalmente. Lei ha posto l’altra sera
la domanda in grado di scardinare da sola l’ immenso apparato propagandistico
che ha cercato per anni di violentare le ragioni di quel processo: perché, ha
chiesto,  la difesa di Andreotti fece
appello contro la sentenza di secondo grado? Si è mai visto un imputato
ricorrere contro una sentenza di assoluzione? Il fatto è che non si trattò di
innocenza ma di colpevolezza “prescritta”. Eppure su questa grande truffa si è
costruita la leggenda dei processi che non reggono alla prova dell’aula, delle
fole di una procura giacobina, di una carenza di professionalità o addirittura
di una professionalità messa al servizio di finalità politiche. La vendetta del
Palazzo. L’ha pagata tutta,  procuratore.
Con quella legge che, riproposta per mesi con protervia ossessiva, le impedì di
partecipare al concorso a procuratore nazionale antimafia. Ne sentii teorizzare
con le mie orecchie le ragioni nella commissione giustizia del Senato: “deve
pagare il processo Andreotti”. Perché tutti imparassero per sempre.
Buon Natale, procuratore Caselli. Possa rivedere con la serenità del giusto i
mille rischi e attacchi che ha subito in quarant’anni. Fascista e comunista,
servo di regime ed eversore: costretto a essere in successione, o insieme,
tutto questo perché le è toccato di servire la legge “in partibus infidelium”,
in un paese dove ognuno ha la sua legalità e la sua giustizia, la sua idea di
diritto e di privilegio. L’hanno chiamata repressore quando pochi magistrati
come lei hanno insistito sulla difesa dei diritti, dall’antimafia sociale tante
volte sostenuta nei dibattiti ai processi Eternit e ThyssenKrupp, che i grandi
vecchi annidati tra i NoTav non le hanno mai voluto riconoscere, accecati dal
delirio di ritrovare, decenni dopo, il focolaio ideale di una nuova lotta
armata.
Anche i laici a Natale hanno la tendenza a interrogarsi sul senso della propria
esistenza. A maggior ragione lo farà lei, cattolico praticante. Credo che le
sarà difficile, dando l’addio alla toga, non ripassare le immagini della sua
vita. Le prime inchieste sul terrorismo, i rischi veri e le paure sacrosante,
mai dichiarate e sempre affrontate in silenzio. I morti, i tanti morti. Il
lavoro investigativo difficile, con uno Stato che c’era a corrente alterna. La
strana deferenza, lei di Magistratura democratica, per un generale dei carabinieri
messo alla guida della lotta alle Brigate rosse. L’uccisione del suo superiore
Bruno Caccia a opera dei clan calabresi. Il dissenso doloroso da Magistratura
democratica, al Csm, quando lei gettò all’aria il tabù “garantista”
dell’anzianità di servizio e scelse il criterio del valore professionale per
votare (inutilmente) Falcone alla testa dell’ufficio istruzione di Palermo. Già,
Falcone. E Borsellino. L’arrivo a Palermo dopo le stragi. Volontario per un
posto che prometteva i rischi più grandi. Gli spostamenti in elicottero,
nemmeno le blindate bastavano, perché nel frattempo i clan si erano procurati i
bazooka. Le catture dei latitanti, i processi, gli attacchi velenosi e
vigliacchi in televisione.

 

E intanto la generosità di farsi in quattro per parlare alla società, agli studenti, a chi voleva sapere e capire. E di nuovo le operazioni contro la ‘ndrangheta, fattasi potere avvolgente nelle terre piemontesi. Indagando sempre senza guardare in faccia nessuno. E i NoTav, ancora un problema sociale e politico scaricato sulla sua funzione, da chi è pronto a lamentarsi del ruolo “supplente” della magistratura. Forse non si interrogherà sul suo carattere netto, talora spigoloso, ma certo leale e generoso. Perché la nettezza è la sua natura. Penserà alla signora Laura e alle sue ansie, vissute fianco a fianco o da lontano, ai figli visti crescere per telefono, al viaggio fatto con tanti italiani (minoranza, minoranza) alla ricerca di una giustizia uguale per tutti. Ai debiti che ha con le persone a lei più vicine, ai crediti che ha verso la storia d’Italia, anche se tanta Italia non ne sa nulla.
Buon Natale di cuore, procuratore.

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