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Quei carusi: fiction e commozione. E un consiglio a Renzi
E’ appena finita la fiction su Fava. Commovente.
Una spinta irresistibile ad andare sempre avanti. Commovente risentirlo parlare,
anche con quelle splendide ingenuità senza le quali non sarebbe stato lui, il
cavaliere senza macchia e senza paura. Il coraggio della verità. E i suoi
carusi, i miei amici, con cui condividemmo quel momento incredibile al tramonto
del primo anniversario, i ragazzi catanesi uno sulle spalle dell’altro fino ad
arrivare ad affiggere nel punto più alto una targa di cartone in via dello
Stadio: “via Giuseppe Fava”.
Rivedermi accanto a lui nell’intervista di Biagi
mi imbarazza e mi onora. Ricordo le redattrici e le segretarie che ne erano
affascinate. Al ritorno a Milano (l’intervista si tenne a Lugano) ci lasciammo
in piazza della Repubblica. Lui mi mise la mano sinistra sulla spalla e mi
disse: “non saprai mai chi ha fatto uccidere tuo padre”. Gelai, e se non fosse
stato lui mi sarei ribellato. Era l’esperienza della Sicilia antica che
parlava. Per fortuna, anche grazie a lui, stava nascendo una nuova Sicilia. Lui
invece sarebbe stato ucciso esattamente una settimana dopo. Come è stato ben
detto nella fiction, perché aveva varcato i confini della Sicilia.
Una antimafia eroica, con le sue paure e i suoi entusiasmi, e anche -come si
sarà capito- una antimafia seria dove non c’erano i cialtroni. Non c’era spazio
per loro perché si poteva giocare proprio poco. Rifatti benissimo i redattori,
anche quella storia di tacito amore tra Antonio e la ragazza tedesca di cui
avevo perso il ricordo. E la mamma di Antonio, davvero la mamma di tutta
l’antimafia catanese (e non solo), che tutti ospitava con gentilezza infinita. E
Riccardo, proprio lui. Le dita color tabacco dovevano far vedere, però, accidenti.
Unico neo: quando andavi dai Siciliani l’accento era catanese, nella fiction
l’accento era palermitano. Neo, appunto. Perché avrei voluto tanto che durasse
una mezz’ora in più…In ogni caso avete visto come sono le vere minacce mafiose:
“Ricordati, Rosario”. “Com’è che sa il mio nome?” Così funziona, amici, per chi
la conosce…
Renzi ha fatto invece finta di non conoscere Fassina. Che con molta dignità si
è dimesso. Credo che Renzi debba scusarsi. Non con Fassina, ma con gli
italiani. Il paese sta cercando di recuperare immagine internazionale, e se la
gioca soprattutto sul piano economico, ne dipende un po’ anche la vita
quotidiana di centinaia di migliaia di famiglie, e lui deride, squalifica
pubblicamente il viceministro dell’economia. Qualcuno dovrà dirgli (e presto,
per favore) che c’è il tempo delle burle e c’è il tempo delle responsabilità
collettive…
Auguri a Bersani. Vedo che pure i ministri preferiscono farglieli via twitter.
E non so se sia un progresso…
(Dimenticavo: ieri a Milano è andata benissimo, Spazio Melampo pieno nonostante
feste e diluvio, e forse la più brava è stata Morgana, tesi di laurea su Fava
scrittore…)
Nando
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