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Valentina. La fuga dei cuori
Il Fatto Quotidiano, 12.1.14
E se provassimo a parlare della fuga dei cuori? Se invece di
vedere solo cervelli che salpano verso allori e nuovi brevetti vedessimo le
generosità che vanno a realizzarsi a migliaia di chilometri di distanza?
Valentina Limonta appartiene a una generazione speciale. Fatta di giovani,
cattolici e laici, che amano il volontariato, studiano per aiutare il prossimo
e hanno formato una razza particolare di “italiani nel mondo”. Quelli del
cosmopolitismo solidale, splendido nuovo pezzo di argenteria del paese.
Valentina è in attesa di partire per il Perù con una organizzazione non
governativa. Minuta, lunghi capelli castani, riflessiva ed entusiasta di ogni
novità. Si prese la laurea triennale andandosi a studiare sul campo le attività
sorte su un bene confiscato nella Valle del Marro, in Calabria. Si innamorò del
tema della legalità e dell’impegno sociale. Un altro campo a San Giuseppe Jato
e poi si trasferì all’estero, in Belgio, all’università cattolica di
Louvain-la- Neuve. Master in relazioni internazionali, specializzazione in
azione umanitaria, che vuol dire diritto d’asilo, rifugiati, ricostruzioni dopo emergenze, aiuti allo
sviluppo. Un altro biennio di studi. Voleva fare esperienza, conoscere. E ha
conosciuto.
Perché ha scelto una tesi di ricerca su un tema praticamente inesplorato: il
sostegno ai familiari delle vittime del conflitto armato in Colombia. Un campo
teoricamente minato, dove ci si imbatte in forme di violenza del tutto diverse.
Vittime della guerriglia. Vittime dei paramilitari, ossia i mercenari al soldo
dei latifondisti. O vittime dell’esercito. Omicidi, sequestri, confische
abusive di terre. E in più dai due ai cinque milioni di “desplazados”, sorta di
esiliati interni. Una scelta di frontiera perseguita con tenacia. Si è
candidata a uno stage gratuito sotto l’egida delle Nazioni Unite, un progetto
nella regione del Cesar, nord-est del paese, dove una legge prevede forme di
assistenza e di riparazione integrale per le vittime. Interviste, proposte,
analisi dei bisogni. Valentina ci ha messo lo spirito di avventura della
ventenne che vuole finire nei punti difficili della storia. Ma anche il
paziente spirito di ascolto e osservazione richiesti in questi casi. Mesi in
Colombia per fare una tesi per un’università belga, lei italiana. Per conoscere
la condizione delle vittime dell’America latina dopo avere voluto conoscere
l’antimafia dei beni confiscati nel sud del suo paese. Il cosmopolitismo solidale,
appunto. Una tesi coronata dalla lode perché il cuore non esclude il cervello,
anzi.
Ora è tornata in Italia per pochi mesi. Non per guardarsi in giro. L’ha già
fatto, attende solo di partire di nuovo, tra lezioni private di inglese,
francese e spagnolo. Si è proposta a una Ong impegnata in un progetto
importante in Perù. Si chiama Aspem. “Vuol
dire Associazione per la solidarietà con i paesi emergenti ed è di Cantù. Ci
andrò con il Servizio civile italiano e lì collaboreremo con una associazione locale,
Codeh, impegnata sui diritti umani. Andrò a Ica, un centro a quattro ore di
viaggio a sud di Lima. Quanti abitanti ha? E’ un problema”, ride Valentina, “le
stime variano dai 200 ai 350mila. E’ in mezzo a un deserto, zona sismica, è
stata disastrata da un terremoto nel 2007. Ci sono tre progetti: rilevazione
dei rischi sismici, diritti umani e delle donne, salute, specie per l’infanzia.
Non so ancora su quale sarò messa. No, non mi preoccupano i disagi. Sono stata
educata da piccola a questi valori, ho due genitori insegnanti, mia madre
insegna alla scuola ‘Rinascita’ al Giambellino, e forse oggi un po’ rimpiange
di avermi fatto crescere così, perché alla fine sono sempre lontano da casa.”
A proposito, Valentina: ma come risponderebbe a chi le chiedesse perché tutto questo bisogno di andare lontano quando c’è tanto da fare in Italia? “Be’, ma sono i miei studi che mi portano a queste scelte. Io ho una laurea in relazioni internazionali. Voluta perché da ragazzi si pensa sempre di andare lontano ad aiutare. Lo si capisce poi che c’è da fare anche sotto casa. Ma io continuo a guardare all’Italia. Voglio farmi delle competenze per spenderle qui. D’altronde è alla mia età che posso andarmene in giro per il mondo senza vincoli e affrontando le scomodità logistiche. E in ogni caso tutto si tiene. Vede, c’è una cosa che mi colpisce: il Perù ultimamente ha superato la Colombia nella produzione di cocaina, quest’area del mondo continua a essere uno dei punti di partenza di traffici e delitti che sconvolgono economie e Stati. Ogni progetto di miglioramento sociale sul posto quindi può avere effetti altrove, anche in paesi lontani. E poi…”. E poi? “E poi, lo sa? C’è una somiglianza impressionante tra l’Italia e quei paesi. Pensi che mentre ero in Colombia davano in tivù un serial intitolato ‘El patròn del mal’, dedicato a Pablo Escobar, il signore dei narcos di Medellin. Sembrava di rivedere ‘Il capo dei capi’, con tutte le mitologie del caso. E il presidente colombiano, allora c’era Uribe, era il simbolo di un potere corrotto che cercava di sfuggire alla giustizia. Così quando raccontavo quel che accadeva da noi, mi dicevano ‘ma allora l’Italia è come la Colombia’. No, mi creda, non sarà un’ esperienza sprecata”.
Nando
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