La chiamavano impunità…Ecco i fatti. Pazientate e vi sarà dato…

Oh, finalmente a mezzanotte ho un quarto d’ora per
rispondere alla casa della legalità-Cancellieri-Ligresti. Non a tutto il
delirio, naturalmente (come è noto la mafia attira i casi umani), ma a
un’affermazione che, essendo specifica, può generare qualche dubbio sulla mia
persona. Vi prego solo di seguirmi con pazienza, non sarò troppo lungo.
Partiamo allora da quel che scrive di me il nuovo comico genovese (vedi post
precedente).

“O forse tuona tanto contro la kasta ed i suoi privilegi perché ora non li ha
più, visto che quando ne godeva, a differenza dei "comuni mortali",
poteva (come ha fatto) cercare di sottrarsi dalle cause per diffamazione facendo valere quel che restava della tanto odiata (ma usata!) immunità parlamentare, sottraendosi al giudizio secondo il principio che ciò che scriveva lui, in quanto eletto Senatore, era insindacabile. Il Nando Dalla Chiesa infatti vide approvare a maggioranza dal Senato della Repubblica, su proposta della “Giunta per le immunità parlamentari”, il diniego a procedere nei suoi confronti nonostante gli articoli contestati non avessero alcun collegamento ad una qualsivoglia sua
“attività istituzionale” e con il rilievo (tanto caro, guarda tu le coincidenze, al “nemico” Silvio) secondo cui trattandosi di parlamentari “solo il parlamento sarebbe sede congrua alla soluzione della questione”.

Cosa capite voi? Che ho abusato dell’immunità riconosciuta ai parlamentari per
i reati d’opinione. Dunque che ho detto cornuto a tizio e poi ho chiesto l’immunità,
un po’ alla Sgarbi. Oppure che prima ho insultato caio che aveva mal recensito
un mio libro e poi mi sono gettato nelle braccia del Parlamento per scamparla.
E invece ecco come è andata. Io ho fatto ricorso all’immunità parlamentare due
volte, nella legislatura 2001-2006. Quella delle leggi ad personam. Tutte e due
le volte per difendermi da Cesare Previti. Il quale non doveva amarmi molto.
Prima gli avevo fatto saltare in aula un emendamento che stava passando all’unanimità,
secondo cui occorreva l’autorizzazione del parlamento per aprire la
corrispondenza personale “o bancaria” (ovvero gli ordini di trasferimento di
somme di denaro da banca a banca, come nel caso di corruzione in atti
giudiziari). Episodio che racconto in dettaglio nella “Convergenza”. Poi gli
avevo fatto saltare il progetto di fare trasferire il suo processo a Brescia
con la legge Cirami: occupai infatti la commissione giustizia una notte di
luglio, dando il via alla mobilitazione sulla giustizia che sarebbe sfociata
nella grande manifestazione di piazza San Giovanni del settembre del 2002.

Previti mi fece causa civile due volte. Tutte e due per un milione di euro. Da
rovinarmi (e intimidirmi oggettivamente). La prima colpendo i miei diritti
parlamentari intesi nella loro versione già estremamente restrittiva stabilita
dalla Corte Costituzionale a presidenza Onida. La quale decise, dopo gli abusi
di Sgarbi, che l’immunità potesse essere riconosciuta, fuori dagli edifici
delle Camere, solo per la
manifestazioni del pensiero che riportassero all’esterno ciò che era stato
detto in aula e in commissione. In quel caso nessuno ebbe a eccepire.
L’articolo che avevo scritto per l’Unità riportava infatti, resoconto verbale
alla mano, ciò che avevo detto sia in commissione sia in aula. Ossia che le
Camere erano costrette a lavorare per gli interessi dell’on. Previti. Davvero
non c’era “qualsivoglia rapporto con l’attività istituzionale?”.
Poi la situazione si complicò. Fioccavano le leggi ad personam, i tempi per gli
interventi in aula venivano tagliati, stampa e tivù erano quasi interamente
nelle mani del capo del governo, gli stessi alti funzionari del Senato
iniziarono a inventarsi “precedenti” inesistenti per legittimare leggi e
violazioni dei diritti parlamentari. Il comitato di parlamentari “La legge è
uguale per tutti”, di cui ero coordinatore, spiegò che se veniva amputata la
nostra possibilità di fare i parlamentari dentro il parlamento, noi avremmo
portato fuori dalle Camere la nostra azione di parlamentari, proprio per difendere i diritti dei nostri elettori. Da qui lo sviluppo del
teatro civile dei senatori, le molte manifestazioni di piazza Navona, i
parlamentari-sandwich (fotografati avidamente dai giapponesi), l’aereo
(affittato da me) che passò sul Senato con la scritta “la legge è uguale per
tutti”. Tanto che Francesco Merlo scrisse in un editoriale sul “Corriere”
(allora lì collaborava) che in fondo ero io la vera opposizione a Berlusconi.

Arrivò a quel punto il lodo Schifani. Prevedeva l’immunità per le “cinque
massime cariche dello Stato”, che poi era B. Una legge che denunciammo come
incostituzionale e che sarebbe stata dichiarata tale dalla Corte. Una cosa
scandalosa. Fu una sequenza di provvedimenti, fino alla legge Cirielli. Per questo chiamai Padellaro e gli proposi di scrivere sull’Unità
una storia di B. a puntate, perché si capisse chi era lo Statista che il parlamento
stava mettendo al di sopra di tutte le leggi. Lui fu d’accordo, e ci
accordammo anche che fosse scritta in modo documentato e satirico, per rendere ancor
più grottesco presso l’opinione pubblica quanto stava accadendo. Ebbene, Previti fece
causa per l’articolo in cui raccontavo il modo in cui lui aveva fatto entrare
B. in possesso della villa di Arcore, già raccontato da altri autori. Pagavo la mia opposizione in commissione
giustizia, non c’è dubbio. E questo suonava tanto più persecutorio venendo da
un parlamentare che invece rivendicava ogni giorno il suo status di eletto per
non presentarsi ai processi  di Milano,
che riguardavano reati privatissimi e commessi prima di entrare alla Camera. Il
Senato riconobbe il senso della mia battaglia, Previti fece ricorso alla Corte
Costituzionale, che glielo rigettò. Fu una battaglia durissima che condussi in
nome della legge e per il Paese
, rifiutandomi di allargare le braccia davanti
ai nostri elettori, magari per dire rassegnato (come spesso succede) “non ci
fanno parlare”. Ripeto: sarebbero questi gli abusi “alla Silvio”, i fatti privati, gli articoli
privi di collegamento con “qualsivoglia
attività istituzionale”?

Ecco, ora avete potuto misurare la credibilità della casa della
legalità-Cancellieri-Ligresti. Qualche notizia vera mista a molte calunnie, un
po’ come avviene nel mondo dei servizi. Fate sapere, per favore. Perché una
storia di lotte e impegni non può essere rovesciata in storia di abusi e
privilegi. Certo, bisogna chiedersi perché da un lato ci sia la difesa fino a
livelli comici dell’affaire Ligresti e dall’altro l’assalto prima a Di Pietro,
poi a Travaglio e Grillo, ora a dalla Chiesa e don Ciotti. Casa “della
legalità”? Ma mi faccia il piacere! E ora, come ho detto, sotto a pensare alle
cose serie del Paese. Accidenti, saremo di nuovo senza le preferenze! Maledetti
quelli che non vogliono il libero voto dei cittadini… 

Leave a Reply

Next ArticleAltopascio. Riempite "I Magazzini del Grano"...