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Nicola, l’Africa si aiuta anche in bicicletta
Il Fatto Quotidiano, 2.2.14
Il sorriso è sardonico come allora. E pure i capelli danno
ancora sul nero. Di mezzo ci sono i decenni, di mezzo c’è l’Africa. Ciad,
Madagscar, ora Tanzania. Il giovanissimo rivoluzionario civile incontrato
trent’anni fa nelle prime battaglie contro una Tangentopoli ancora impunita, ha
regalato le sue energie a un altro continente. Nicola Morganti partì per il
Ciad nel ’91, nostalgia di un’esperienza precedente, due anni come volontario
subito dopo la maturità. “D’accordo, potevo darlo a questo paese sbrindellato
il mio impegno, vuoi che non veda come è conciato? Però nella vita contano
anche le vocazioni, e io ho avuto questa. Il Ciad mi era rimasto nel cuore, forse
anche per questo ho voluto andare a studiare etnologia a Nanterre, culla del Sessantotto.
Il tempo di godermi il movimento della Pantera in Italia e poi sono tornato
definitivamente laggiù con Acra, una fondazione creata alla fine degli anni
sessanta da alcuni sindacalisti cattolici.”
Così, mentre in Italia le inchieste giudiziarie scoperchiavano la vergogna
degli aiuti al Terzo mondo, spartiti tra capicorrente italiani e potentati indigeni,
Nicola si mise al servizio di villaggi distanti centinaia di chilometri dal
primo supermercato. “Ricordo la realizzazione di un acquedotto che portava
l’acqua a una dozzina di villaggi, circa 45mila persone”. Incominciò a
costruire attività economiche dal basso, che poi nel tempo sarebbe diventata la
sua specialità. Studiò stupito e ammirato un’economia che sapeva fare a meno della
moneta, al punto che dal Ciad ne fece l’oggetto della sua tesi di laurea in
Italia. Tornò un anno a Milano, sempre come responsabile dei progetti in Ciad e
Camerun. Poi il passaggio a un’organizzazione non governativa svizzera che
operava in Madagascar. Altri cinque anni. Ogni volta imparando una nuova
lingua. Oltre all’inglese e al francese, l’arabo ciadiano e il malgascio. A cui
da poco il formidabile poliglotta ha aggiunto pure lo Swahili, la lingua della
Tanzania, dove lavora dal 2006, di nuovo con l’Acra-ccs. “Mi occupo di
costruire microimprenditoria, di mettere in relazione i contadini con
imprenditori che trasformano o esportano i loro prodotti, dai semi di girasole
al cotone biologico. Ora faccio il manager, come si dice, non vivo più in una
capanna come da ragazzo, sto in un monolocale a Dar es Salaam, anche se in
realtà sono sempre in movimento da una parte all’altra del paese. Sto seguendo
un programma di elettrificazione rurale nelle Njombe, negli altipiani della
parte sud. E progetti di risanamento importanti, dall’introduzione delle latrine al
trattamento delle acque reflue e dei rifiuti solidi urbani, che è anche un modo
per creare opportunità di lavoro, per fare formazione professionale. E’
importante insegnare ai contadini come fare i documenti programmatici o dar
loro manuali tecnici, ad esempio su come coltivare il cotone biologico. Ormai
credo di sapere mettere a disposizione di chi ne ha bisogno una buona rete di relazioni
e di competenze”.
A questo punto voi penserete che la vita avventurosa e generosa di Nicola
Morganti possa racchiudersi sotto l’etichetta del miglior volontariato
all’estero. E invece vi sbagliate. Qui arriva il colpo di scena. Perché Nicola,
una vecchia passione per le mountain bike condivisa sin da ragazzo con la
moglie Brigitte, è diventato il direttore tecnico della nazionale di ciclismo
della Tanzania. E’ anzi questo, almeno oggi, il ruolo che lo esalta di più, un
po’ come capiterebbe a molti di noi se mai fossimo direttori tecnici di una celebre
squadra di calcio. “Intendiamoci, tutto gratis. Anzi, se non riesco a trovare
gli sponsor ci spendo qualcosa anch’io. Il governo non mette un cent nel
ciclismo. Quindi quando partecipiamo a una competizione il numero dei
concorrenti dipende anche dai soldi che abbiamo. Iniziammo con una gara in
Ruanda nel 2011, quando l’unione ciclistica internazionale chiese di indicare
un team manager, disposto a fare da accompagnatore alla squadra. Un amico
tedesco mi chiese ‘perché non vai tu?’ e io non ci ho pensato due volte. Bellissimo.
Per la prima volta nella sua storia la Tanzania ha partecipato ai campionati
africani, poi è stata una successione di appuntamenti, dal Burkina Faso a Sharm
El Sheikh. A volte tre ciclisti, a volte cinque. Io vado dietro in auto, li
proteggo, li incito, qualche volta mi scappa di farlo in italiano.
E’ un’emozione vera, specie nei campionati africani dà molta adrenalina. E poi penso che sia una scuola di vita. Spesso sul posto si respira un’aria indolente, rinunciataria, qui impari che con la fatica ce la fai. Li porto in trasferta e vedo che guardano con occhi di sogno panorami mai immaginati, alcuni non hanno mai messo la testa fuori dal loro villaggio. Ma poi la gente impara i loro nomi, e fa il tifo e li chiama ad alta voce”. Spunta una foto bellissima di una gara. I ciclisti che passano in corsa davanti a case di lamiera su terra battuta, gente incantata per la strada, grappoli di ragazzini arrampicati sugli alberi a guardare. Ecco la grandezza del giovane rivoluzionario fattosi manager del volontariato, a conferma dei geni paterni, imprenditoria illuminata lombarda. Convinto che lo sviluppo sia anche un sapone o una bicicletta. L’elettrificazione, l’acqua, il lavoro, ma pure la magia dello sport. Insomma, se all’estero abbiamo Mancini, il Trap, Ancelotti, non dimentichiamoci di lui, Nicola Morganti, direttore tecnico della Tanzania a due ruote.
Nando
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