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Domande sulla vita e sul dolore
Uno dei blogghisti che più amo, Pasquale Pirone da Avellino, ha scritto queste note sul dolore. Mi sembrano belle. E fanno pensare… Forza Pasquale, questo Blog è con te!
Ci sono eventi nella vita che te la spaccano in due, in un prima
e in un dopo, che si continuano e a volte somigliano, ma non hanno più lo
stesso senso e sapore. A volte è una gioia pura a segnare il passaggio: il sì
della brunetta che ami su di una panchina d’inverno. A volte, e più spesso, è
un dolore straziante: la morte di un padre o di un maestro, il rammarico di una
carezza e di una parola non data per tempo e che mai più si potrà pronunciare.
E’ il singo,
il “segno marcato a terra” con la calce o il tallone, dell’esperienza di un
terremoto. Il pugno di terra gettato sulla cassa di Jean, che hai visto ridere
felice d’amore e di giovinezza e hai appena portato in spalla piangendo.
La
linea di frattura è però a volte così tagliente da non consentirti neppure di
accostare i margini. E’ il risvegliarsi in una sala di rianimazione, unico
cosciente tra una decina di corpi , e non sapere se è un incubo, e non sapere
il perché. E’ riepilogare in un attimo la vita e chiedersi veloci se dover
salutare o sperare in un poi. Pensare ai bambini, all’amore della tua vita, al
panico di doverli lasciare senza nemmeno salutarli, senza riuscire più né
proteggerli né ad accompagnare. E capire che sei vivo e, forse, c’è ancora
futuro quando immagini che se Dante avesse dovuto plasmare oggi uno spazio
senza tempo, un purgatorio sospeso tra gli uomini e Dio, avrebbe certo
immaginato proprio quella gran teca azzurra: senza luce naturale, senza
lancette, dove i curanti si muovono felpati, come sfumando, e i sospesi non
hanno nulla che marchi lo scorrere della vita, che abbia un colore, o un
passaggio di luce. Supplichi allora di andar via di là, ovunque, altrove.
Lontano.
Umberto, il compagno di stanza della resurrezione, in un reparto finalmente normale, con una finestra vera, la luce e la pioggia che scorra sui vetri, è un angelo di 80 anni che sorride e stringe la mano a Rosa, la compagna di sempre, cui si attacca come un bambino alla madre. Ha fatto il calzolaio per una vita e all’inizio mi fa fatica capirlo, per il dialetto stretto che usa e per l’ictus che gli ha compromesso la dizione. Ma ci intendiamo di sguardi ed è come se ci conoscessimo da sempre. Tornato tra gli uomini (continuo a parlare a chi mi visita di un “giù”, ma non sono mai stato spostato di piano), il mio letto è ridiventato un porto di mare. Come tutta la mia vita finora, d’altronde. E’ la settimana di preghiera per l’unità dei Cristiani e trovo perfino il tempo di indignarmi perché nessuno ha avuto la gentilezza di avvisare né me, né alcuno della Comunità, della giornata organizzata a Prata. Se mi arrabbio, però, è allora proprio vero che son vivo, penso. Davanti a me c’è fra’ Rocco, il mio nuovo amico. C’è il pastore Squitieri e sua moglie Raffaella, metodisti e fratelli di speranza e di fede. E a sorridermi a fianco c’è Hazem, l’amico mio solofrano di Aleppo, musulmano di nascita e cultura, ma laico e cuore grande. La settimana la stiamo celebrando lì, per dono della Provvidenza, sopra e meglio di ogni rito e mascherata. C’è un affetto e una gioia che si può spalmare a mani piene. Penso al Salmo “Come è bello che i fratelli…”
Il perché del dolore, l’interrogarsi sul limite non mi sono nuovi. Sono domande che, senza angoscia, ma chiare, mi accompagnano da sempre. E la domanda di fede che porto con me fa parte di quest’orizzonte. Chi mi conosce sa che non amo definirmi un “credente”. “Credere” mi sa di certezza, di una verità data come ormai irrigidita e acquisita. Amo riconoscermi piuttosto nella categoria di “sperante”, di un pellegrino che armato solo della fiducia che si può provare nell’abbraccio di una madre, scommette in una prospettiva di senso. Credo nel Dio fragile di Bonhoeffeur, in quello che provoca Giobbe senza mai offrirgli una risposta finale, nell’uomo di Galilea che si offre come fratello e che da vivo non trionfa mai, ma accompagna e sollecita. In mezzo c’è stata la grande paura, ma non è non è il caso di cambiare prospettiva. Anzi.
“Ogni giorno nel nostro cuore un credente e un non credente si interrogano a vicenda. Guai se uno di loro tacitasse l’altro”, c’è scritto sul frontespizio della mia agenda. E’ una citazione di Martini. La condivido ogni giorno di più, con convinzione più grande.
Nando
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