Maria Pia, piccola, grande Heidi del Parco d’Abruzzo

Il Fatto Quotidiano, 16.2.14

Proviamo un po’: quanti anni dareste ad Heidi?
Sette? Dieci? Acqua. Heidi ha già superato i sessanta. Almeno in Abruzzo. Dove
ha preso le sembianze di una signora gentile e sognatrice che si sta battendo
perché il Parco nazionale d’Abruzzo abbia un presidente di fama nazionale e
soprattutto perché l’Abruzzo intero, squassato da terremoti e sfregiato da
storie di alcove in trasferta, faccia del Parco l’occasione di un nuovo modello
di sviluppo leggero e coraggioso.
Maria Pia Graziani, famiglia borghese che da questa regione si è irradiata
verso Roma e Milano e anche Bruxelles, ha sentito vent’anni fa il richiamo dei
pianori e dei torrenti natii e ha deciso di tornarci. E di mettersi al servizio
di una causa che non fa finire sui giornali. Un figlio fisioterapista a Milano,
nonostante il master in economia ambientale, e una figlia suonatrice di viola,
la signora dai capelli corti e dallo sguardo spiritoso e a spillo è diventata
in un paio di decenni una colonna della civilissima “cultura del Parco”. Il suo
nome è anzi ormai tutt’uno con un fenomeno che i bambini incontrano nei
programmi di geografia solo quando si parla di Abruzzo e di Molise: transumanza.
Nome misterioso per indicare i movimenti di pecore e armenti verso luoghi in
cui svernare o verso cui risalire all’arrivo dell’estate. Maria Pia dirige
infatti il museo della transumanza di Villetta Barrea, dove oggi abita, in
provincia dell’Aquila. Suoi molti dei moderni progetti di turismo sostenibile
che si stanno sperimentando da queste parti, e di cui lei giovane aveva
iniziato a occuparsi durante una (lunga) precedente esperienza in Lombardia. Natura,
ambiente, cultura. E’ il suo trittico magico, una autentica vocazione, alla
quale ha deciso di riservare la seconda parte della sua vita. Se scruti nel suo
curriculum non trovi quasi altro. Programmazione dei servizi alle persone, pianificazione
del territorio, turismo sostenibile, progetti per turisti vogliosi di spirito
di comunità e di genius loci.
Recentemente si è messa con alcuni intellettuali e ambientalisti alla guida di
una campagna di opinione per dare al Parco una presidenza di fama e di
prestigio. Quale futuro potrà mai avere quel bendidio se lo si costringe nel
reticolo degli equilibri politici locali e non diventa un progetto nazionale? “Il
ministro Orlando ha nominato come presidente un funzionario di partito vicino a
Legambiente, con la scusa che è ‘radicato sul territorio’, ma è un suggerimento
che gli è arrivato dalla sua stessa corrente di partito. Ecco, a me e ad altre
persone impegnate ogni giorno sul Parco questa proposta è sembrata inadeguata.
Sono stati ventitré su ventiquattro i sindaci che hanno firmato un documento
alternativo. E anche i circoli del Pd dell’Alto Sangro hanno trovato il
comportamento del ministero poco trasparente. Ma è mai possibile che tutto
questo non basti per fermare una nomina?”. Così hanno spedito una lettera al
ministro, punteggiata di “non capiamo” . Non capiamo, in particolare, perché
debba essere “così umiliato” il ruolo della comunità del parco, delle comunità
locali e dei sindaci. E hanno raccolto decine di firme di personalità a sostegno.
Un appello giunto anche al sottoscritto con una passione così genuina da
interrogarlo, con curiosità, su chi ne fosse all’origine. La nomina è oggi all’esame
della commissione ambiente della Camera.
Ma la mia attenzione, leggendo i primi
firmatari, è andata a questa donna conosciuta in tempi lontani e riemersa in
nuove vesti con lo stesso puntiglio di allora, la stessa mania di documentarsi,
di non accontentarsi delle affabulazioni altrui. Un’unica civetteria. “Vuoi
sapere di che colore porto oggi i capelli? Grigio, direi, o forse vado più sul
bianco. Ma siccome non so giudicarlo ti mando una foto”.  Grigio o bianco che sia, Maria Pia ha ormai sulle
spalle uno zaino pieno di buone cose. Corsi di italiano per stranieri,
partnership con il Parco e con Italia Nostra o con la Sovrintendenza ai beni
archeologici, progetti di applicazione della Carta europea del turismo, la
fondazione di “Futuro remoto”, “un’associazione per promuovere sviluppo locale
e turismo culturale”. E ancora la scrittura di testi per mostre sui tratturi, o
un convegno su Benedetto Croce, o i corsi…. Gli appunti si bloccano: “basta
così Maria Pia, ho capito, sei sempre tu”. Quanto è vero che la normalità dei buoni
cittadini è il tesoro prezioso di questo paese quando la democrazia fa cilecca.
Si tratti di preservare una grande città dall’affarismo famelico delle lobby
tangentizie o di promuovere un mondo popolato di scenari agresti e di
cerbiatti. O di orsi.

E in effetti. Davvero non può mancare nel nostro panorama l’orso bruno, orgoglio di questo Abruzzo che non sa né di P3 né di carriere boccaccesche. La Heidi matura della nostra storia gli ha dedicato una bellissima cartolina promozionale, che indica senza troppe perifrasi i nemici più pericolosi: “Salviamo l’orso marsicano dalla partitocrazia e dalla cattiva politica”. Qualunquismo? E chi potrebbe dirlo dopo lo spettacolo che la politica ha dato di sé (certo non in esclusiva) in questa regione? O non c’è piuttosto in questa cartolina, oltre all’amore per la natura, una civilissima esaltazione del ruolo della politica, impegnata ovunque, dove è seria, a difendere le specie a rischio del pianeta? 

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