Maria Guadalupe, in punta di piedi dal Papa

 

Il Fatto Quotidiano, 23.3.14

Sventola da almeno un’ora. Quando il papa entra nella chiesa
di San Gregorio tra le ali di familiari di vittime di mafia, tra i banchi a sinistra
si agita una bandierina tricolore. La impugna una signora dall’ aspetto gentile
e rotondo che porta addosso due foto di un giovane, una sul petto una sulla
schiena. Presi come sono dalla speranza di stringere la mano a Francesco, i
vicini la notano a stento. Eppure la sua non è la bandiera italiana. La signora
dice più volte “Mèjico”, con orgoglio e con dolore. E’ la mamma di un
desaparecido, uno dei più di ventimila desaparecidos messicani, trofeo e
vergogna dell’infinito decennio di dominio dei narcotrafficanti. Maria
Guadalupe Fernandes Martinez  è venuta
anche lei dal papa, tra le centinaia di persone che chiedono verità e
giustizia. “Méjico” dice senza urlare, come se temesse di dar fastidio, di intrufolarsi
in una festa altrui; già, una “festa” di volti, di storie, di lutti e di
speranze, che si consegna come un fiume in piena al papa venuto da lontano.
Suo figlio José Antonio faceva l’ingegnere nei cantieri di una grande opera.
Trentadue anni, bruno, occhiali rotondi. Un giorno sparì a Monclova, spiega a
chi la ascolta. Era il 2009. Da cinque anni non ne sa più nulla. E’ venuta in
Italia con alcuni altri familiari per far sapere, a chiedere l’aiuto del mondo.
Al mattino nell’aula universitaria di Roma3 ha parlato con voce straziata di
quel figlio; all’inizio senza mostrare la foto, è il pudore delle vittime. L’ha
tirata fuori solo quando le è stato detto che anche in Italia ci sono
manifestazioni, come quella di ieri di Libera a Latina, dove i familiari
portano i volti dei propri cari su foto appese al collo o stampate sulle
magliette. Allora Maria si è fatta coraggio, dunque non sembrerò bizzarra, deve
aver pensato; e l’ha tirata fuori, l’ha mostrata agli studenti commossi,
spiegando che alla prossima festa della mamma le mamme dei desaparecidos
messicani faranno per il terzo anno di fila una grande manifestazione vestite
tutte di bianco. E’ bastato un attimo e con la sua foto sono comparse sulla
cattedra anche quelle che portavano con sé i suoi compagni di viaggio, tutte
insieme.
Quando, poche ore dopo, giunge la notizia che Francesco sta entrando in chiesa,
Maria sventola più alta la sua bandiera in miniatura e chiede a chi si affolla
alle transenne di dirlo al papa, di dirlo che c’è lei che è venuta dal Messico,
con la sua bandiera e la sua foto. Francesco la vede e la saluta. “Mi hijo, mi
hijo”, grida lei, tendendogli la foto. Sembra voglia consegnare al papa, lì, in
quel momento, tutto il peso di quel dramma immenso, più di centoventimila morti
e quel mare di desaparecidos in pochi anni. “Mi hijo, mi hijo”. Ma potrebbe
essere anche la figlia di Adele Alvarado Valdez, Monica, rapita e portata nei
gorghi del nulla dieci anni fa, mentre andava all’università a Città del
Messico. Un agente del servizio di protezione vaticano si impietosisce: “Vuole
che dia la foto al papa?”. Lei capisce e gliela mette in mano piangendo di
felicità, separandosene dopo averci viaggiato dal Messico, chissà che il papa
non possa fare il miracolo. Davanti a lei, sulle transenne di fronte, sono
affacciati una decina di bambini. Ridono, per loro l’arrivo del papa è un
gioco. Si stuzzicano, fanno monellerie. Dall’altra parte le signore li
rimproverano. “Bambini state buoni, bambini siete in chiesa”. Ma i pargoli non
ci sentono. Stanno vivendo un’avventura che racconteranno a scuola. Tra loro
c’è un bimbo scatenato come gli altri. Si chiama Antonino. Ha il viso un po’
deformato. “Gli è entrato un pezzo di pallottola in bocca”, è finito in mezzo a
una sparatoria di ‘ndrangheta, spiega un mio vicino. Per fortuna è vivo, non
sta in una foto. “Ma sono diciannove i bambini sotto i dodici anni uccisi dalla
‘ndrangheta dagli anni cinquanta in qua, lo sai?”. Una galleria degli orrori,
“due erano gemelli, uno lo uccisero con il padre sbagliando persona…”. Eccola,
la mafia buona che non uccide i bambini. L’altro giorno a Reggio una scuola ha
promosso il ricordo di queste piccole vittime di mafia, la notte hanno tentato
di incendiarla.

 

Ieri mattina a Latina le foto dei bambini erano tante. Giovani padri e giovani madri che le portano addosso con disperazione, cercando conforto tra le braccia di don Ciotti. Sul palco sale, a leggere i nomi delle vittime, un’altra donna messicana. Più giovane di Maria Guadalupe. Si chiama Lizeth Cardona. Anche a lei hanno fatto sparire qualcuno, il padre. Ieri ricorreva il quinto anniversario. I familiari italiani che la vedono non lo sanno ma intuiscono dalla maglietta (“los queremos vivos”) che fa parte della loro stessa umanità, strapazzata dalla storia ma che aspira a vincere la storia. La ascolta anche un giovane gigante. Si chiama Carlos Cruz. A 14 anni, spiega, aveva già commesso quasi tutti i reati previsti dalla convenzione di Palermo contro il crimine. Ha in corpo tre proiettili, presi in età diverse delle sua adolescenza. Ora fa il costruttore di pace. E non concede proprio nulla ai consumatori di droghe. “Ma chi prende cocaina, lo capisce o no che dà i soldi agli Zetas? Lo sa che è responsabile di questo potere che semina dolore? Che è responsabile di questa disperazione?”. Il gigante convertito dice parole di saggezza. Don Ciotti, dal palco, invita al coraggio di spendere la vita (“l’unica che abbiamo”) per gli altri. Davanti a lui una intera fila di foto. Tutte italiane.

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