Antonio da Vignola, l’oste che difende le bellezze della vita

 

Il Fatto Quotidiano, 13.4.14

Ha un’età eterna, l’ Antonio figlio di Ermanno. La chiedi al
tavolo e tutti ti dicono che non si sa, che è così da sempre. Da quando governa
l’Osteria della luna in piazza Boncompagni, il grande cortile medievale dietro
la splendida Rocca di Vignola. A
Vignola, è ovvio, provincia di Modena. Figlio d’arte, Antonio Tondelli ha avuto
in eredità il dono sublime dell’accoglienza, che riserva sornione al forestiero
quando la luna si leva alta sulla piazza. Allora l’oste guarda di straforo l’ospite
e lo incornicia. La sagoma è inconfondibile. Il grembiule che si stende sulla
pancia grande e morbida come una duna, gli occhialini rossi che scendono dal
collo, una maglia bianca a maniche corte a evitare i sudori della cucina. Quando
il tavolo è pronto, il padrone di casa si avvicina senza invadenza e intona il
suo poema con la grazia e l’impegno della prima volta. Racconta ogni cibo che
ti offre come la cosa più preziosa al mondo. Diresti solo che sia prosciutto,
ma dopo che te lo descrive lui ti senti un imbecille. Il prosciutto, lo sa?, è
più dolce con il grasso intorno. E’ il grasso che trattiene il sale. Questo,
vedrete, è un prosciutto un po’ più giovane. Parla veloce e flautato, Antonio,
e non lo segui più nei suoi ragionamenti fisici, chimici, organolettici. Perché
ormai è il suono che conta. Ti svegli dall’incantesimo quando spiega che ci
mettono il sale di Cervia, dolce, marino, che anche a Trapani è così ma questo
è delle nostre parti e quindi lo preferiamo. Ama le cose della sua terra. Ha un
sobbalzo, quasi un preludio di infarto, quando gli viene chiesta carne
irlandese. Ma vuol mettere, signore? Mi offende il maiale di qui. E se non
vuole il maiale ho per voi un capolavoro, le do le polpette di mucca bianca di
Serramazzoni, alla menta, e un secchio di radicchio mescolato con la senape.
Una squisitezza che solo qui.
Lo guardi. I capelli bianchi gli escono dai lati, si arricciano dietro le
orecchie e  lungo il collo, si annunciano
del tutto rarefatti sulla volta. Lo chansonnier narra, ricorda, ancora si
commuove se parla di suo padre, che era di Modena, mentre la madre era di
Vignola. Dice Modena e Vignola come se fossero due continenti. Faceva il
vinaio, il padre Ermanno. All’inizio un’osteria semplice, primi anni sessanta,
poi la mescita, si chiamava così a quel tempo, insegna “Vini d’Italia”. Ci andavano
tutti: dal ferroviere fino al professore universitario; il sindaco stava nel
mezzo della gerarchia. Era un grande oste, il padre, con il sogno di tornare in
una casa di Vignola  che gli piaceva.
Coronò il suo sogno nell’88, e morì dopo solo tre anni; sa, aveva problemi e
non si era curato, non c’era ancora la cultura della salute. Quando ho
incominciato, e per molti anni, la gente mi conosceva come il figlio
dell’Ermanno, mi parlava sempre di lui; lei mi capisce in fondo perché le è un
po’ capitato la stessa cosa. L’Antonio è colto, legge, sa di Pavese e di
Evtusenko. Sul grande camino della seconda stanza, a sinistra, campeggia una
scopa da  Befana. Di fronte, appesa a un
muro,  una bottiglia gigantesca di
champagne. Alle pareti foto dei
forestieri che ha accolto e ristorato. Quello è Guccini, quello Veltroni, lì è
Lilli Gruber, quello è don Ciotti. Lui sta sempre accanto a tutti con il suo grembiule
rosso. Qualche settimana fa è passata anche Caterina Chinnici, “davvero una
bella persona”. Foto e vini. Questo è un lambrusco rosato, originale, basta che
ne beva un bicchiere poi le do quello scuro. Stappa lieve, decanta. Il metodo
dello champagne, si gela il collo della bottiglia, le uve e le graspe, i tempi
di stagionatura, di nuovo non ascolti più, l’importante è il suono. Parli di
cibo e sembra che tutto sia poesia, tutto cultura.  Ingaggia una discussione con una signora del
luogo sulle celebri ciliegie di Vignola in arrivo. D’accordo i duroni, signora,
ma vuol mettere il fascino delle morette?
Parla anche di politica. Il governo, le riforme. Mi scusi se non sono al
corrente, ma lei è ancora in parlamento? No? Libera e antimafia? Bene, ci vuole.
Ma lo sa che per le prossime elezioni qui la sinistra si è divisa? Io ne soffro,
tutti cercano di tirarmi dalla loro parte ma a me non va bene perché non è mica
questione di ideologie, sono questioni personali.

 

E’ tardi, ormai. Spunta la mitica torta Barozzi, una specie di genius loci, cioccolato densissimo, “che si taglia capovolta e con la sua stagnola”, e che ha preso il nome dal grande architetto della Rocca, accanto la crema da spalmare, “la ricetta non chiedergliela perché è come la coca cola”. Tra i commensali riprende il discorso della legalità, guai se manca. Qui impazza la contraffazione alimentare, mi spiegano. Ma la sai quella del prosciutto sbollato, che arriva dai paesi dell’est, gli tolgono il bollo, lo aggiustano e te lo vendono a un valore dieci volte il suo, come fosse prosciutto di qui? E quella del reggiano fatto con il latte che viene dalla Serbia? E’ la terribile conferma: ogni delizia diventa crimine, il mare azzurro, le fertili campagne e il parmigiano reggiano. Guardi l’Antonio e quasi lo baceresti: grazie, amico senza età, per darci in questo angolo di mondo il piacere della vita. Per il suono che arriva dal grembiule rosso e dai ricci imbiancati dietro il collo. La luna che illumina il cortile consacra un’improvvisa gratitudine.

Leave a Reply

Next ArticleAmici miei, amici loro. E gli italiani che li votano... Note palermitane