Francesca, la guerra in Siria e il pallino della Costituzione

 

Il Fatto Quotidiano, 27.4.14

Ma chi sarà quella ragazzina dall’aria felice e impunita che
sembra capire dalla a alla zeta la lezione che si sta tenendo nell’aula
universitaria? Che diavolo ci fa qui alla facoltà di Giurisprudenza di Bologna
al corso di mafia e antimafia tenuto dalla professoressa Stefania Pellegrini? Ce
l’ha mandata qualcuno? O è venuta qui per sentirsi più grande? Alla fine la massa
di capelli allegri si avvicina alla cattedra. E’ un riuscito miscuglio di
imbarazzo e di disinvoltura. La ragazza ha una maglietta bianca con le maniche
corte. Sopra sta scritto l’articolo 11 della Costituzione: “L’Italia ripudia la
guerra”. In rosso. Perché è quello il grande principio che deve scolpirsi nelle
coscienze. In nero sta scritto il resto. Ha delle domande da fare, vorrebbe
sapere tutto. Ho quindici anni, spiega, sedici tra nemmeno un mese. Si chiama
Francesca, Francesca Al Toum, perché il papà non è italiano. Dietro c’è una
romantica storia d’amore. La madre, oggi “coordinatrice gestionale” della
facoltà di scienze della formazione di Bologna, che vent’anni fa va a fare un
viaggio in Siria. E lì incontra un
giovane del luogo laureato a Parigi, che sa il francese e un po’ di italiano e
fa la guida turistica. Innamoramento in pochi giorni, finché nel ’98 nasce lei.
Con il padre che arriva in Italia, dove oggi fa il rivenditore di generi
alimentari per ristoranti.
“In realtà è anche per questo che porto la maglietta con l’articolo 11 della
Costituzione. Perché oggi mio padre vede la sua terra distrutta e insanguinata
dalla guerra. E a me che la mia Costituzione ripudi la guerra mi conforta, mi
piace che questa sia non l’opinione di qualcuno ma che stia scritto nei
principi fondamentali. A me la Costituzione piace tantissimo, specie nella
prima parte, e soprattutto in questo articolo. Dove ho preso la maglietta? Me
l’ha prestata un amico, ma non credo che gliela restituirò più”.
Ride Francesca, beandosi della piccola trasgressione, lei che ha il pallino della
legalità. Non per nulla ha scelto di portare per la prova di italiano alla fine
della sua quinta ginnasio un lavoro sulla trattativa Stato-mafia. “A proposito,
ha qualche libro da suggerirmi? Le sembra strano che me ne occupi? Ma no, noi
fino a Natale abbiamo letto tre giornali ogni settimana: il Corriere, il Sole e il Resto del Carlino.
Poi siamo stati lasciati liberi di sviluppare un tema che ci aveva
appassionato. E io ho scelto questo. Tutta la vicenda palermitana mi appassiona, ho letto Cose di Cosa nostra di Falcone e mi ha colpito quel suo
ragionamento sul rispetto che si deve ai mafiosi se si vuole essere rispettati
come Stato, mi è sembrato che avesse un valore umano più ancora che giuridico”.
A questo punto voi penserete che il linguaggio di Francesca sia filtrato dal
sottoscritto. E invece è testualmente il suo, e anzi ogni tanto lei ci tiene a puntualizzare,
a spiegare bene, nel caso il suo interlocutore non avesse capito o non conoscesse
qualcosa. Non è un topo da biblioteca; fino a qualche tempo fa giocava a basket
(“nella Libertas”), poi si è infortunata a una mano, è stata operata e per ora
ha smesso. Il fatto è che ha una voglia matta di democrazia nel sangue. Alle
medie (“al Farini”) una prof le fece
leggere Per questo mi chiamo Giovanni,
e le fece sapere di Gomorra e di Addiopizzo. Così nel 2013 nella sua nuova
scuola, il “Luigi Galvani”, un liceo del centro, si è avvicinata a Libera. E’
bastata la sollecitazione di un amico e di un’amica e ci si è buttata. “Voglio
provare a vedere, mi sono detta. A lottare per la legalità si possono fare cose
giuste e oneste, qualcosa di buono prima o poi si ottiene, e poi se certe cose
non le facciamo noi ragazzi chi le deve fare? Ormai siamo in abbastanza (dice
così), siamo una decina di scuole, dopo i licei anche l’artistico e un po’ di istituti
tecnici, anche a Casalecchio”. E’ andata a Milano per i funerali di Lea
Garofalo, è impegnata nel progetto “Civica”, una carovana di proiezioni di
film, aperitivi, concerti, conferenze, sui temi che dovrebbero dominare l’educazione
civica dei giovanissimi. “In maggio faremo tre conferenze sull’immigrazione.
Una sul tema in generale, una sul caporalato, una sulla prostituzione. Sul
caporalato ci sarà anche Yvan Sagnet”. Si scrive con ‘gienne’, precisa
educatamente, come per rimediare a un divario che dà per scontato tra il suo
mondo di riferimento e quello dell’interlocutore tanto più adulto.

 

“Che libri leggo? Ora Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore. Ma mi piacciono i romanzi storici, ho letto tutti e due quelli di Hosseini. E poi Carlos Zafòn, uno spagnolo, spiega ancora, un thriller. Che farò da grande, vuol sapere… Senz’altro giurisprudenza. Poi sarebbe bello il magistrato, o forse la professoressa, o la ricercatrice. Una cosa so con certezza, però: che i valori che ho adesso saranno quelli che mi accompagneranno tutta la vita”.
Ecco qui la storia di una ragazza dal cognome siriano e che dice “la mia Costituzione”, che l’altro ieri voleva andare a Marzabotto (ma non ha trovato il passaggio), e che da grande vuole avere gli stessi valori di oggi. Ecco la storia, quasi tutta al futuro, di una adolescente che ama la vita, la cultura e la democrazia. Davvero largo ai giovani. A questi, però.

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