Fabio, leader d’altri tempi

 

Il Fatto Quotidiano, 22.6.14

Che fulmine di malinconia ha tirato fuori, l’anziano
sindacalista. Saggia e disperata, quella voce uscitagli nel momento del dolore:
“La verità è che ha incominciato ad andarsene una  generazione bellissima, forse un po’
presuntuosa ma generosa nella sua idea di cambiare il mondo”. Aldo Tropea è un
signore di sessantasette anni che ha dedicato la sua vita al sindacato nella
scuola. La voce gentile ha conservato un leggerissimo accento siciliano. Ha
gettato il suo cruccio l’altro ieri nel forum intitolato al Movimento
Lavoratori per il Socialismo, prosecuzione per un grappolo d’anni del
leggendario Movimento Studentesco della Statale di Milano. Per commentare la
morte di Fabio Guzzini, in assoluto uno dei leader più amati, liberi e
coraggiosi di quella stagione, protagonista anche della lotta per la “Medicina
democratica” e poi, finita la tempesta di speranze, medico esemplare nella
sanità pubblica. Gira ora in rete una sua foto di giovanissimo imputato per il
processo Trimarchi, il sequestro in aula del contestato docente di diritto. Un
ragazzino con la barba acerba e i ricci impertinenti di allora. Che ieri al
cimitero di Lambrate è stato salutato con affetto da una marea di antichi compagni.
Un tumore combattuto con la fierezza di sempre. In tanti si sono ritrovati. Ma
non era clima da “Grande freddo”. Non si trattava di quarantenni ancora in vena
di innamorarsi tra loro. Ma di ultrasessantenni, talora ultrasettantenni.
Costretti a guardarsi sapendo che salutavano il più esplosivo e giovane di
loro, il più vitale di tutti, lo studente che non temeva le cariche della
Celere, il medico colto e stimatissimo che usciva di casa a ogni ora per le
emergenze o che da primario si faceva i turni di notte. Non ucciso dai fascisti
o dalla polizia ma da una perfida normalità.
Perciò una malinconia nuova stava sulle facce di molti. “Ci fischiano le
pallottole intorno”, è scappato di dire a uno di loro. La generazione che si
riteneva immortale tanto da dare l’assalto al cielo scopriva in modo nuovo e
feroce di non esserlo affatto. L’idea che “una sera ci vediamo” si faceva
progetto da specie in estinzione.
Aldo aveva trascorso con Fabio ore infinite in viaggio su treni e auto per la
commissione scuola del Movimento. E le ricorda bene. Sullo sfondo le parole
d’ordine. L’università al servizio delle masse popolari, fuori i fascisti
dall’università, no all’università dei baroni, lottare-studiare per il
socialismo, il famoso “uso parziale alternativo”, e il rifiuto del sei politico
perché la rivoluzione non è per gli opportunisti. “Si viaggiava spesso, per
mettere insieme gli spezzoni di movimento che nascevano nel paese. Ricordo un
viaggio a Frosinone. Gli studenti entusiasti di mettersi in contatto con la
mitica Statale di Milano, e noi a conoscere nuove realtà, a riscoprire il Mezzogiorno
da cui me ne ero andato -il mio paese, Biancavilla, era alla falde dell’Etna-
per venire a studiare filosofia alla Cattolica. Lì diventai amico di Capanna.
Mi laureai nel ’69, entrai nel movimento da insegnante. Allora si pensava che i
professori rivoluzionari dovessero usare la scuola per fare propaganda. Io invece
volevo fare crescere insieme l’esperienza politica e l’esperienza professionale.
E l’unico luogo in cui mi era possibile era il Movimento della Statale”. Poi il
primo impegno nel sindacato, che non corrompe come i partiti revisionisti. La
Cgil e non un sindacatino della nuova sinistra. Aldo ci ha creduto in
quell’impegno estenuante, che gli raddoppiava, talora triplicava le ore di
lavoro a scuola.
“Vedi, Fabio capì subito che le categorie di cui ci eravamo nutriti non erano
adeguate alla politica di un partito. E coerentemente smise. Poteva diventare
un leader politico altrove. Ma lui la sua leadership la usava come servizio.
Perciò fece una scelta radicale, la professione, e vi divenne bravissimo. Io
poi ho fatto la stesso. La scuola, la sinistra sindacale, il direttivo
nazionale della Cgil; e la creazione, con altri colleghi, del coordinamento
presidi quando ho fatto il preside di un istituto tecnico a Cesano Maderno. Sono
stato segretario generale dell’Irsae lombardo con Berlinguer, poi educazione
degli adulti e alternanza scuola-lavoro. Fino alla pensione, nel 2010, da
responsabile dell’educazione per adulti all’Ufficio scolastico regionale”. In
pensione, studiando ancora, ancora presiedendo il consiglio nazionale
dell’associazione dei dirigenti scolastici. Come a non volere smettere mai…

 

Nel dolore collettivo di Lambrate, nella foto di gruppo di capigliature e barbe immaginarie e svanite nel tempo, perfino nel pudore a seguire le note di un’Internazionale in inglese mandate da un altoparlante, guizzava impietoso il suo fulmine di verità. I giovani che pensarono di essere più forti dello Stato e del capitalismo, di Dio, del destino e della  natura umana, ora capiscono che cosa sono stati. Vento che soffia sulla storia fino a farla vacillare, ma che con umiltà orgogliosa vi rifluisce. Un’Anpi senza bandiere e senza scie di sangue nelle valli. Ma che ha lasciato tante buone storie negli ospedali, nelle scuole, nel volontariato, dove ha potuto. Il “prima”, invece, è memoria che si stempera e furtivamente si allontana. Come un’ombra fattasi gentile.

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