La pensionata, il sindaco e la casa abusiva. La nuova battaglia di San Fermo

Il Fatto Quotidiano, 29.6.14

Dio mio, quanti luoghi comuni. La Lombardia non
è la Sicilia, non è la Calabria… Magari lo fosse, vien da dire a volte. Come
quando scopri che a indagare su alcuni clan al nord sono un maresciallo calabrese
o un commissario siciliano che hanno respirato a casa loro l’aria dell’antimafia.
O come quando ti imbatti in questa storia che ha per protagonista una
pensionata salernitana che da anni battaglia in nome del diritto in un piccolo
comune in provincia di Como. E dove a infischiarsene della legge non sono
“quelli di giù mandati al confino” ma, con modalità più signorili, disinvolti personaggi
locali. Con tanto di incarichi pubblici.
E dunque riprendiamola dall’inizio questa incredibile storia di una Lombardia
dove della legge ci si fa un baffo. Teatro: San Fermo della Battaglia, un nome
che ricorda la vittoria dei Cacciatori delle Alpi di Garibaldi contro gli
austriaci. Protagonista e vittima: un’ insegnante di italiano e storia da tempo
in pensione, Angela Compagnone, sposata Malerba. Venuta da Salerno alla fine
degli anni sessanta. La tipica professoressa che ha trovato lavoro al nord. E
che quand’era in servizio aveva il pallino dell’educazione alla legalità.
Piccola e gentile, ma tosta e combattiva.
Nonostante la lunga permanenza sul
lago di Como, la prof ha conservato un salace accento campano. Che le serve per
raccontare egregiamente di quando un giorno del 2007 si accorse che, di fronte
a casa sua, le stavano tirando su un’altra casa. Ci volle poco tempo per capire
che le volumetrie violavano le norme fissate dal piano di governo del
territorio. E che nessuno accennava a intervenire; benché il paese sia piccolo
e tutto si veda e si sappia. L’arcano si svelò presto. C’era un occhio di
riguardo del Comune verso quel progetto di una casa rossa agli estrogeni. La
volumetria era stata misurata escludendo dal calcolo sia il piano interrato sia
i locali del sottotetto. E per una di quelle combinazioni ricorrenti anche in
Lombardia, il geometra era cugino del sindaco, Pierluigi Mascetti (attuale
vicesindaco), il quale a sua volta si è fatto ristrutturare la casa di famiglia
dalla ditta costruttrice.
“E che dovevo fare, dovevo stare a guardare?”, si infervora lei. “Ho
protestato, ho cercato di sollevare il problema sulla stampa locale, che mi ha
dato spazio perché chiunque vedeva che avevo ragione io. Ma l’amministrazione non
si è scomposta e ha acconsentito che i lavori andassero avanti. E ora eccola lì,
la casa, e davanti ci hanno pure eretto un muro. Doveva essere alto tre metri,
è alto sette. La casa, invece, diciassette”. In effetti la vista sulla valle è
andata a farsi benedire, il paesaggio è deturpato. Il sindaco e poi vicesindaco
Mascetti, un pregiato prodotto del centrodestra in versione sbarazzina, ha
messo l’ amministrazione a tutela del manufatto. Anche se, su pressione della
vittima, l’ufficio tecnico del comune ha dovuto denunciare alla magistratura la
violazione delle norme edilizie.
“Non sono una sprovveduta, la nostra famiglia
ha uno degli studi di commercialista più avviati di Como, e io ho una passione
per la legalità. So quali sono i miei diritti. Ci siamo rivolti al Tar della
Lombardia. Che nel 2010 ci ha dato ragione, era davvero impossibile fare
altrimenti. Ha mandato un architetto a vedere e lui ha fatto il suo rapporto.
Ma nemmeno il Tar è bastato. Allora mi sono rivolta al Consiglio di Stato. Che
nel marzo di quest’anno, sette anni dopo, mi ha dato ragione. La casa rossa è
abusiva, ha sentenziato. Per qualche giorno ho pensato di avere vinto. Oltre il
Consiglio di Stato non c’è più nulla, è il massimo organo giurisdizionale”. E
invece? “E invece, lo vuol sapere?, sopra il Consiglio di Stato c’è il comune
di San Fermo. Ma lo sa che cos’hanno fatto quando si sono trovati davanti alla
sentenza? Hanno deciso così: visto che c’è un abuso riconosciuto, noi facciamo
una bella sanatoria. Insomma il sindaco ha ‘sanato’ il Consiglio di Stato”. E
la ditta interessata, la Mazzucchi costruzioni, gongola, “anche perché
attualmente lavora per il Comune. Pure il magistrato che doveva decidere sul
muro, che aveva rinviato la causa per anni, ha emesso la sua sentenza subito dopo
quella del Consiglio di Stato: non luogo a procedere”.

Nessuno la tiene più, la professoressa Angela Compagnone. La si vede in una foto sorreggere uno striscione con la scritta “La voce della giustizia” (la sua testata d’occasione) e sotto “Casa Rossa abusiva” (titolo). Poi giura: “Farò tutto quello che mi è consentito perché pretendo il rispetto della legge. Batterò anche le strade della giustizia penale, a questo punto, e chiederò il commissariamento di un comune che non riconosce la giustizia dello Stato. Si sono inventati un ricorso di cinquanta pagine alla Cassazione, a carico del cittadino naturalmente, accampando che l’architetto mandato dal Tar era rimasto vittima di un abbaglio dei sensi, testuale. E che aveva trascinato nel suo abbaglio prima il Tar poi il Consiglio di Stato”.
“Non riesco a dormire, pensi che credevo nella legge”. Be’, il paese che ama la legalità solidarizzi con questa pensionata campana che in Lombardia difende fino all’ultimo i suoi buoni diritti contro gli abusi di un piccolo potere locale. Ma qualcuno, un prefetto, un procuratore, vorrà intervenire per dare man forte alle leggi della Repubblica? Ci sarà pure un giudice a Berlino. 
 

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