Un Paese che si arrende un pezzo alla volta

 

Il Fatto Quotidiano, 6.7.14

Mettiamola così: questo è un diario di bordo, una
testimonianza doverosa di un militante dell’antimafia che in vita sua ne ha
viste, studiate e sentite tante. E che una sera capita a Viadana, ricca
provincia mantovana. Invitato da militanti locali del Pd che vogliono dare la
sveglia all’ambiente. Strattonare gli ignavi, gridare che con la ‘ndrangheta
non si può convivere. “Per favore, vieni a presentare il tuo Manifesto dell’Antimafia, ce n’è
bisogno”. E’ la sera di martedì 1 luglio quando arrivo a Viadana dopo un
passaggio alla biblioteca comunale di Mantova. Ho già scoperto dai toni tirati,
preoccupati, usati nell’occasione dall’ex sindaco del capoluogo Fiorenza Brioni
che deve esserci qualcosa di grave nell’aria. La classica cortina di ferro, già
vista innumerevoli volte, da Palermo a Milano, tirata su, stavolta anche a
sinistra, in difesa del solito argomento: l’inesistenza della mafia in
provincia, la rimozione maledetta; magari pure la derisione o l’alzata di
spalle verso che denuncia. Affetto da protagonismo, mosso da ragioni personali.
E’ appena finita una bufera d’acqua. La presentazione, prevista in piazza, è
stata spostata sotto i portici. Che sono già affollati all’ora dell’inizio,
file di sedie bianche che gli organizzatori continuano ad allungare e allargare
all’esterno dei portici. Al tavolo un membro del circolo anti-‘ndrangheta del
Pd locale (commissariato come l’altro), un esponente dell’associazionismo e il
corrispondente della “Gazzetta di Mantova”. Non ci vuole molto per capire che
l’atmosfera è elettrica. Che i presenti (c’è anche qualcuno di Forza Italia) vogliono
ribellarsi a qualcosa. Vengono subito in mente gli incontri fatti negli ultimi
anni a Desio, Lonate Pozzolo, Bordighera, i comuni dove i clan calabresi
avevano affermato il loro dominio contrastati da un pugno di persone senza
ascolto nei partiti. Questa è zona di tradizioni democratiche. Eppure è
successo qualcosa che ha sconvolto tutto. “Viadana è nostra” giurava gongolando
nel 2006 un giovane esponente dei clan in una telefonata. Una millanteria? No,
i segni ci sono tutti. Gli incendi, linguaggio inconfondibile e prova provata
della presenza mafiosa. Le imprese edili calabresi infarcite di pregiudicati
che crescono nel mezzo di una crisi che non risparmia nessuno. L’ingresso di
tesserati sconosciuti nel maggior partito di governo (il Pd), provenienza Isola
di Capo Rizzuto e zone confinanti. Gli avvertimenti che giungono sibillini a
chi promuove in consiglio comunale un questionario da dare ai cittadini sulla
percezione della presenza mafiosa, nulla di forte, per carità, ma loro
capiscono e prendono cappello lo stesso. O l’assessore che porta un ferito da
arma da fuoco in ospedale asserendo di averlo raccolto per strada come un buon
samaritano: uno sconosciuto, dice; mentre l’interessato lo dichiara amico suo.
Eccetera eccetera.
Un oratore racconta che chi ha dato i volantini della serata è stato seguito e
oggetto di attenzioni non amichevoli. Il giornalista aggiunge che quando ha
indagato sull’accoglienza riservata al questionario, si è imbattuto nel vittimismo.
Ce l’hanno con noi perché siamo calabresi, è un pregiudizio razzista. Obietto
che i veri razzisti sono gli uomini dei clan, visto che in tutte le
conversazioni intercettate identificano se stessi con “la Calabria”. Mi viene
poi detto che i più tosti nell’innalzare la bandiera vittimista non ne vogliono
però sapere di prendere le distanze dagli Arena, il clan che a Isola di Capo
Rizzuto spadroneggia che è un piacere. “E’ accaduto tutto quello che dici nel
libro. Le tre ‘C’, i complici, i codardi e i cretini. L’avessimo saputo prima…
anche il gemellaggio che dici, pure quello abbiamo fatto, con la processione
del loro santo. Ma ti rendi conto?”.
Mi rendo conto. L’ho visto decine di volte. E’ così che conquistano i paesi,
che si mette nelle loro mani un pezzo d’Italia dopo l’altro. Con le autorità
che concedono le white list a imprese assai discusse, per non avere grane con
il Tar. Con i partiti più preoccupati dei loro equilibri interni che dei drammi
del paese e che proprio non ci riescono a pensare come se fossero lo Stato.
Metti una cosa dietro l’altra e alla fine succede la cosa più logica: vincono
loro. Soprattutto se chi si ribella viene commissariato.
 

 

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