La “Marina”: dalla droga alle politiche del lavoro

Il Fatto Quotidiano, 3.8.14

“Qui ci vuole la Marina!”. Quando l’ho sentito
dire, molti anni fa, mi sono chiesto per una frazione di secondo perché diavolo
si dovesse chiamare un equipaggio di vascello nel cuore del Piemonte, per una
emergenza in una comunità di recupero. Deformazioni militaresche. In realtà “la
Marina” era lei. Infermiera professionale, esperta di lavoro di comunità,
organizzatrice di cultura e tante altre cose. Pochi mesi fa anche il candidato
sindaco di Chieri, Claudio Martano, deve aver pensato che ci fosse bisogno di
lei. Si accingeva a guidare il centrosinistra in questa cittadina di 35mila
abitanti in provincia di Torino, in mano al centrodestra. E quando ha deciso di
presentare una sua lista civica per allargare i consensi, le ha telefonato.
Così “la Marina”, Zopegni di cognome, è entrata a vele spiegate (è il caso di
dire…) in consiglio comunale. Coronando decenni di volontariato e di impegno
civile con un assessorato.
In una nazione che vede sfrecciare ai vertici gente
senza curriculum o dal curriculum taroccato è già una ragione di pubblica
soddisfazione. La sua aspirazione sarebbe stata quella di occuparsi di cultura,
oppure di politiche giovanili. Invece no, la politica ha le sue strade: “commercio,
agricoltura, industria, artigianato; e politiche del lavoro”. Hai detto una
sverza.
“Che cosa penso? Che è la rivincita di mio padre. E’ un commerciante di ortofrutta
 all’ingrosso, un’azienda storica nata
nel dopoguerra, che ci ha consentito di vivere con agio, di studiare senza
assilli. Ma alla sola idea di andarci a lavorare dopo la scuola ho detto un no
drastico. Ora andrò a chiedergli i consigli. Lui mi ha detto quattro parole: ‘Fai,
e fai bene’. Chi l’avrebbe immaginato? Ho studiato da infermiera professionale
superando la selezione alle Molinette. Poi ho lavorato per dodici anni all’Ospedale
Maggiore di Chieri nel reparto di Emodialisi e Medicina Generale. Mi piaceva
prendermi cura delle persone. Avevo incominciato a farlo già a quindici anni in
un quartiere, quello di via Artom, che era un po’ il bronx torinese, andando su
e giù per le scale delle case popolari a dare lezioni private ai figli dei
carcerati. E’ una delle cose di cui sono più orgogliosa, perché bisognerebbe
vederli oggi quegli ambienti.
Più tardi, era il 2002, sono andata da volontaria
alla Cascina Tario del Gruppo Abele. Erano ancora gli anni in cui in una sola
comunità potevano morirne tre di ospiti, malati di Aids. Ho ricordi dolcissimi
e strazianti. Lì sono diventata la responsabile dell’infermeria interna della
casa alloggio, e della formazione sanitaria degli operatori e dei volontari”.
In mezzo ci sono stati quattro figli con Vito, testimonial del modernissimo
detto che “dietro una grande donna c’è sempre un grande uomo”. Tutti e quattro sparsi
per il mondo. Marina ride di gusto nel suo abbigliamento da ragazza,
braccialetti colorati, circondata da pile di libri ovunque. “E che devo farci?
In Italia non è rimasto nessuno di loro. Una a studiare a Boston, l’altra fa la
tesi in antropologia in Australia, uno è andato per amore a Vienna, l’altro in
Francia per la vendemmia. D’altronde anche a me è sempre piaciuto viaggiare. Ora
mi affronto questa avventura con la voglia di dedicarmici totalmente. Ogni
argomento se trattato con amore ti dà soddisfazione. Vedi, io credo che se uno
ama prendersi cura delle persone poi sa prendersi cura anche della cosa
pubblica. Pensa: ‘politiche del lavoro’. Detto in questo momento e in comuni
medio-piccoli con le finanze asciutte sembra una presa in giro, ma io voglio
provarci davvero a fare qualcosa. Il tema del lavoro merita un rispetto
infinito (usa proprio questo aggettivo; ndr). Mi organizzerò, organizzerò le
mie tante relazioni, confido molto nella funzione della rete. Per lavorare
nell’amministrazione ma anche per tenere i rapporti con la cittadinanza. Ma
voglio usare molto pure lo strumento opposto, il più antico: l’ascolto,
l’ascolto delle persone, che già vedo stupirsi quando propongo loro di
raccontarmi i problemi dei loro mondi e le cose che hanno in testa per
risolverli. L’esperienza in comunità, in fondo, mi è stata utile anche per
lavorare sui percorsi di inserimento, per capire come possono nascere nuove
opportunità di lavoro”. 

Inutile dire, perché lo si sarà capito, che “la Marina” fa parte di quell’umanità, così lussureggiante in Piemonte, che ama la legalità e la decenza civile. Legalità, cultura, solidarietà. Su questi principi ha costruito la sua fama a Chieri, nel suo impegno in “Città attiva”, lavorando con le parrocchie e con l’amministrazione, o con la scuola di formazione politica che ha fondato nel 2010, “Quale unità d’Italia”, e in cui ha avuto per ospiti Mario Calabresi, Gian Carlo Caselli, Stefano Zamagni, Gabriele Vacis e molti altri. Su questi principi ha mobilitato scuole e associazioni, presentando testimoni e libri, anche alla cascina Tario. Ora questa donna generosa e appassionata e che non si tirerebbe mai indietro si è presa una gatta da pelare più complessa. “Come finirà? Non lo posso sapere. Non ho esperienza di politica. Sono tornata a studiare, anche l’inglese perché non puoi svolgere un ruolo pubblico senza parlarlo bene. Darò tutta me stessa, a tempo pieno”. E chissà che un giorno un contadino o un commerciante non dicano anche loro “Qui ci vuole la Marina”.

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